La Robin Tax è stata rovesciata sui conti dei consumatori..

Che il capitalismo sia diventato un ideale ostico da maneggiare è ormai evidente, quanto lo fu il comunismo rivoluzionario degli anni ’70 appena emersero le sue enormi lacune democratiche.

Quello che però fa specie è l’incapacità di ammettere che ormai siamo arrivati moralmente alla frutta con questo sistema ideale basato principalmente sul valore di produzione di una persona – vista anche come centro di costo – e non sulla persona con le sue esigenze e necessità da dover controllare e regolare con quelle di tutti, portandoci a considerare ognuno di noi solo in base alla capacità di produzione e consumo.

Il capitalismo vive nello spazio creato dal mercato, in cui si valutano produzione e consumo, e il mercato è diventato globale, ha superato i confini dei negozi e dei centri commerciali, ottenendo il risultato di essere una piattaforma mondiale in cui operare ininterrottamente. Il capitalismo è un sistema ideale.

piramide capitalismo

Come sistema, oltre alle cose utili, ha prodotto il consumismo, sua fonte vitale che è anche diventata il modo di vivere di ogni persona. Attraverso il consumismo il nostro sistema di vita – perché siamo capitalisti e non dobbiamo dimenticarlo – ottiene il “consumo” delle scorte di prodotti immessi sul mercato con le operazioni di compravendita, che traducono le transazioni economiche in flusso di denaro per i soggetti appartenenti alla “filiera” (produzione-vendita-consegna) che caratterizza il mercato di ogni singolo prodotto.

Il consumismo sostiene il mercato ma logora le risorse aumentando il peso di quei centri di costo legati alla persona che le amministrazioni statali, o locali, non riescono a sopportare e rigirano al sistema ideale, creando un primo danno al capitalismo.

Il consumismo è un nemico in casa per il capitalismo, ma è anche l’unico e miglior fattore di innovazione e rinnovazione del sistema stesso.

Consumismo e mercato sono fondamentali per il capitalismo. Se un giorno i prodotti sparissero definitivamente venendo sostituiti da altri la reazione dell’elemento mercato non porterebbe al crollo delle vendite, ma all’incremento delle richieste di produzione dei nuovi articoli da vendere perché i consumatori ne avrebbero bisogno come dei precedenti.

Il mercato non è il luogo della competizione affaristica, ma è uno spazio sicuro e sfruttabile per le sue continue necessità, dove il capitalismo può introdurre cambiamenti che ne modifichino gli assetti secondo le sue esigenze, dando inizio al rinnovo del sistema ideale. Il mercato alimenta il sistema, dentro di esso non conta chi fallisce o chi continua ad esistere, conta solo la continuità del sistema stesso. Nel mercato capitalistico anche un monopolio può risultare fragile se non produce guadagno.

Tornando all’aspetto “consumismo = nemico del capitalismo” e constatando che il nostro stile di vita logora le risorse, inquina l’aria, l’acqua, il territorio, genera malattie, e aumenta il valore di quei centri di costo legati alla persona e caricati sulle amministrazioni statali o locali, si scopre che per sopportarne il peso questi apparati collettivi – inseriti nel sistema capitalistico – ricorrono all’uso dell’antico metodo di recupero con le tasse, un peso mortale per il capitalismo perché sono soldi bruciati che abbattono i ricavi.

Da decenni le aziende rovesciano le tasse sui consumatori per non abbattere i propri ricavi. Ma chi permette tutto questo? Il consumatore, che resosi “dipendente” da ciò che “compra” non rinuncia all’acquisto nemmeno davanti all’incremento del prezzo di acquisto.

Il consumatore è carnefice e vittima di questo meccanismo semplice e sicuro, che prevede il controllo del mercato e delle sue esigenze attraverso il rapporto tra il comparto di produzione e il comparto di distribuzione-vendita che “fidelizza” – ossia rende dipendente – un cliente e ne osserva i vari cambiamenti, con lo scopo di consocerlo per ottenere il massimo dei ricavi.

Conoscendo il cliente il sistema è libero di introdurre  anche aumento di prezzi in modo intelligente  evitando di irritare il cliente affezionato; è libero di offrire sconti in determinati periodi dell’anno aumentando l’affetto e la riconoscenza da parte del cliente affezionato; è libero di dare attenzioni ai consumatori, anche se lo scopo è di avere valutazioni precise da chi osserva le reazioni dei clienti.

Il sistema di distribuzione attua queste politiche di controllo e verifica con l’introduzione di strumenti di sconto – tipo le tessere di acquisto con raccolta punti – che servono a controllare il volume di vendite dei prodotti, stabilendo con certezza quali siano i più acquistati. Il risultato ottenuto è doppio: una migliore impostazione nella gestione dei magazzini, e il controllo delle reazioni dei consumatori al momento dell’applicazione di piccoli aumenti su alcuni prodotti.

Questo metodo alla lunga ha dato anche un altro risultato insperato, ossia la constatazione che il consumatore non si rende conto di un piccolo incremento coatto – dove il produttore o il distributore polverizza una spesa su una base enorme di mercato – perché troppo assorto da altre esigenze.

Le aziende di distribuzione-vendita o di servizio hanno iniziato a utilizzare questa distrazione del mercato a proprio piacimento ottenendo un altro doppio risultato: quello di mantenere paritari i vari livelli di entrate tra un bilancio annuale e l’altro, riuscendo a non “bruciare” denaro per le spese fiscali che in parte saranno pagate – naturalmente è impossibile che siano totalmente pagate dal mercato – proprio da quei clienti affezionati che ne hanno fatto la fortuna.

Così oggi si scopre che le banche praticano l’anatocismo sui fidi e sugli scoperti di conto con cui coprono buchi nei mercati o parte delle tassazioni che devono subire, e le grandi aziende di distribuzione energetica, o della telefonia, riescono a non pagare la Robin Tax, introdotta proprio per poter recuperare dai bilanci milionari di certe imprese multinazionali  quei soldi necessari per migliorare la copertura delle spese dei centri di costo collettivo che queste stesse imprese alimentano con le loro politiche di consumo del territorio.

Il capitalismo vorrebbe un mondo senza tasse, dal bilancio perfetto, capace di generare solo profitti, ma questo non è possibile, perché il consumismo genera costi che devono essere sostenuti. Probabilmente per poter sopravvivere a se stesso il capitalismo dovrà rinunciare al consumismo, o quanto meno ridurne la portata nella vita del cliente di ogni mercato.

Naturalmente la mia riflessione è grossolana e banale, gli esperti diranno sicuramente tutt’altro.

 

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