Le streghe di Salem (2012), il "film maledetto" del visionario regista horror Rob Zombie

Intorno al film

Rob Zombie (pseudonimo di Robert Bartleth Cummings) è il nuovo “fenomeno” dell’horror americano: nato come cantante metal e hard rock, debutta alla regia nel 2003 con il sanguinario e allucinante La casa dei 1000 corpi, che contiene in nuce buona parte della sua estetica horror: scenari squallidi della provincia americana, famiglie disfunzionali, personaggi degenerati (assassini o cannibali), make-up ed effetti speciali iperrealistici, colori psichedelici, frequenti rimandi alle sette sataniche e al Male. Il suo personalissimo stile prosegue con La casa del diavolo, Halloween – The Beginning e Halloween 2. Con i suoi film dissacranti e irriverenti, Rob Zombie è diventato un “regista maledetto”, un “fenomeno di culto” nel cinema horror contemporaneo, a tal punto che l’uscita del suo nuovo lavoro (co-produzione fra USA, Regno Unito e Canada) è stata accompagnata da una spasmodica attesa: finalmente, Le streghe di Salem (titolo originale: The Lords of Salem) è approdato in Italia, suscitando discussioni e pareri controversi.

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La vicenda

Nel 1696, a Salem, una setta di streghe note come i “Signori” furono messe al rogo dal reverendo Jonathan Hawthorne e scagliarono una maledizione sulla sua progenie. Oggi, nella cittadina del Massachusetts vive Heidi (Sheri Moon Zombie), una giovane dj radiofonica alle prese con la tossicodipendenza. Un giorno riceve un disco in vinile spedito dai misteriosi “Lords”: dopo averlo ascoltato, la ragazza inizia ad essere preda di terribili allucinazioni che la riportano a un passato ancestrale. Lo studioso di scienze occulte Francis Matthias (Bruce Davison) indaga, sospettando che ci sia un collegamento fra il disco e le antiche streghe di Salem. Nel frattempo, i “Lords” annunciano un concerto in un teatro di Salem, dove Heidi e molte altre donne saranno protagoniste di un finale apocalittico.

Narrazione e stile

Premettiamo che Le streghe di Salem non è un film semplice da vedere, in quanto ricco di messaggi più o meno velati (le sette sataniche, la droga e la musica come mezzi di persuasione, i suicidi di massa), citazioni cinefile, iconoclastia dei simboli religiosi. Inoltre, soprattutto per coloro (come chi scrive) che hanno una profonda religiosità cattolica, è un bel pugno nello stomaco, in quanto Rob Zombie mette in scena una dissacrazione totale della religione. Se però analizziamo l’aspetto narrativo e stilistico, è senza dubbio un horror eccezionale, soprattutto per l’angoscia trasmessa e per la grande potenza visiva delle sequenze demoniaco-allucinatorie, che ricordano un po’ lo stile visionario di Ken Russell (non a caso, il regista descrive il suo film come “Ken Russell alla regia di Shining”).

Il Male è il trait d’union di tutta la storia: scritta e sceneggiata dallo stesso Zombie, la vicenda è solida e si sviluppa in maniera narrativa, ma è al contempo da vedere come un accostamento di quadri orrorifici non necessariamente collegati l’un l’altro da un punto di vista logico (un po’ come accadeva nei classici horror di Lucio Fulci L’aldilà e Paura nella città dei morti viventi). La regia, rispetto al solito, punta meno sugli effetti gore e splatter (che pure non mancano), concentrandosi maggiormente sugli ambienti, le inquadrature e gli effetti visivi. Sempre ottima la fotografia (a cura di Brandon Trost), soprattutto negli accesi colori contrastanti che accompagnano i momenti più visionari del film. Accuratissimi gli interni: la stanza di Heidi in stile “pop” (con tanto di scenografia tratta dal film Viaggio nella luna di Méliès), i lugubri corridoi del palazzo “alla Shining” (vedasi ancora la dichiarazione del regista), la misteriosa stanza illuminata di rosso, il palazzo barocco in cui la ragazza viene a trovarsi, il teatro dove si svolge il finale. Altrettanto suggestivi gli esterni, in particolare le ricostruzioni dei sabba seicenteschi, ma anche le grigie strade della città moderna e il tetro cimitero (alcune sequenze sono state girate proprio a Salem).

Rob Zombie riprende il “mito” delle streghe di Salem, già oggetto di precedenti trasposizioni cinematografiche, ma lo modernizza e lo trasforma secondo il suo personalissimo stile. A cominciare dal look dei personaggi (capelli lunghi, decadenza fisica, trascuratezza), sui quali è stato fatto un ottimo lavoro di make-up: basti pensare a come la bellissima Sheri Moon Zombie (moglie del regista e presente in tutti i suoi film) sia stata “trasformata” in una ragazza dall’aspetto sciatto e trasandato; oppure al suo look da posseduta (diventata l’immagine della locandina); per non parlare dell’impressionante estetica delle streghe, con i loro volti e corpi avvizziti, quasi in decomposizione (persino l’affascinante Meg Foster, celebre attrice americana, diventa l’inquietante strega Margaret Morgan, capo della setta). Da buon musicista hard-rock, Zombie inserisce poi nella vicenda un’iconografia tipicamente “metallara”, sia nei protagonisti che nei luoghi: non a caso, la porta del Male è costituita da un disco di musica metal, che, come da tradizione, ascoltato al contrario scatena forze oscure.

Le streghe di Salem è anche un film colto, che dimostra l’amore del regista per il genere horror, sia nell’accurata ricostruzione “storica” e visiva, sia nei richiami cinematografici: non solo il suddetto Shining, ma anche L’inquilino del terzo piano e Rosemary’s Baby di Roman Polanski (con le inquietanti vicine che perseguitano Heidi per poi rivelarsi streghe anch’esse), oltre a tutta la tradizione legata alle case maledette, alla possessione e alla predestinazione. Le improvvise apparizioni dello spettro della strega ricordano poi le inquietanti presenze del cinema horror giapponese.

Le visioni/possessioni di cui è vittima Heidi dimostrano il grande talento visionario di Rob Zombie: la stanza illuminata di rosso in cui rivive un antico sabba; il prete posseduto all’interno della chiesa; gli uomini senza volto che la perseguitano; il quadro con i “teschi” che sanguinano; il parto del mostro; il palazzo barocco che si apre oltre la misteriosa porta e ospita un demone tentacolare. Il carattere psichedelico e allucinato del film raggiunge poi lo zenit nell’apocalittico finale all’interno del teatro: una frastornante esplosione di luci, colori, effetti visivi ed effetti speciali che sono la terrificante rappresentazione di un sabba senza tempo, in cui presente e passato si fondono e si confondono, come simbolo di un Male assoluto.

La colonna sonora

Dopo quanto si è detto sul film, la colonna sonora non può che essere all’insegna del metal e di musiche inquietanti. La soundtrack è firmata dallo specialista John 5 (pseudonimo di John William Lowery) insieme a Griffin Boice (con la collaborazione, in un brano, anche dello stesso Rob Zombie). Rimane impresso il dissonante brano che dà origine alla vicenda, una musica fastidiosa e ossessiva. Il regista inserisce poi, in voluta contrapposizione al contesto e come ulteriore iconoclastia dei simboli religiosi, due brani di musica classica sacra: il celeberrimo Requiem Lacrimosa di Mozart e la composizione per organo Sei gegrüßet, Jesu gütig di Bach.

Davide Comotti

Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.

Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter.

Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.

Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.

Esordisce nella scrittura su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com). Attualmente scrive su ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it, mondospettacolo.com. In precedenza, ha curato la rubrica cinematografica della rivista Bergamo Up e del sito di Bergamo Magazine. Ha redatto inoltre alcuni articoli per i siti sognihorror.com e nocturno.it.

Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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