L’importanza di chiamarsi Ernesto

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Oscar Wilde, irlandese di nascita, riscosse notevole successo a Londra negli ultimi decenni dell’Ottocento con il proprio repertorio di commedie imperniate sulla satira e sull’anticonformismo. Fu proprio Wilde a portare sulle scene inglesi il society drama (dramma sociale), già sperimentato in Europa da Henrik Ibsen, che metteva a nudo le contraddizioni del sistema di valori della borghesia ottocentesca. L’importanza di chiamarsi Ernesto (sottotitolo “commedia frivola per gente seria”) è una commedia scritta per il teatro, imperniata intorno alla critica della “rispettabile” società vittoriana che ruota su un gioco di parole. Infatti nella lingua inglese, il nome Ernest suona un po’ come “honest” ovvero onesto, coscienzioso, sincero, rispettabile. Infatti nell’originale in lingua inglese il titolo è The Importance of Being Earnest che suona contemporaneamente come “L’importanza di chiamarsi Ernest” e “L’importanza di essere coscienzioso/sincero”. i protagonisti sono due uomini borghesi, due dandy per l’esattezza, di nome Algernon Moncrieff e Jack Worthing, i quali si innamorano di due signorine di buona famiglia che fanno a gara per fidanzarsi con un uomo che porti tale nome. Ma nessuno dei due uomini che riescono a trovare, è veramente “Earnest” (onesto), né “Ernest. Questo espediente consente all’autore di deridere il perbenismo aristocratico, il concetto di famiglia nell’età Vittoriana, il sistema d’istruzione inglese e il rapporto tra il potere e le classi subalterne.

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“L’importanza di chiamarsi Ernesto” messo in scena al Donizetti martedì 13 gennaio con la regia di Geppy Gleijeses, segue per filo e per segno nella sceneggiatura, le battute del testo teatrale di Wilde, con un sarcasmo sottile e pungente che prende in giro il mondo borghese dell’Inghilterra di fine ‘800. L’opera è divisa in due atti: il primo atto che si svolge all’interno dell’abitazione borghese dei due protagonisti, mentre il secondo ha come sfondo la casa in campagna di Cecile, una delle due ragazze coprotagoniste di cui Algernon si innamorerà fingendosi il fratello di Jack.

 foto 3Anche nella scenografia, il mondo in cui è ambientata la pièce, viene ricostruito con il classico cliché del salotto borghese, dove la borghesia viene rappresentata con tutti i suoi difetti e le sue contraddizioni. Tutti gli attori riescono a calarsi perfettamente nei panni dei loro personaggi, riuscendo a rappresentare di ognuno di essi il carattere e il temperamento. A vestire i panni di Jack è l’attore Geppy Gleijeses, mentre Algernon è interpretata da una donna, Marianella Bargili, che riesce a calarsi perfettamente nei panni del dandy borghese, mettendone in risalto la furbizia e l’astuzia, come nella scena in cui Algernon è costretto ad inventarsi la situazione grottesca di un certo amico Bumbury in fin di vita a cui deve recarsi a fare visita, pur di salvarsi dai noiosi pranzi in compagnia della zia Lady Bracknell (interpretata dalla grande attrice di teatro Lucia Poli). Da qui il bumbureggiamento, più volte citato nell’opera teatrale, ovvero l’arte di inventarsi un pretesto per fare ciò che più aggrada, diventerà una pratica molto comune tra i personaggi protagonisti della vicenda .Tra colpi di scena, equivoci e scambi di identità di goldoniana memoria, alla fine la situazione si ristabilisce e i giovani innamorati possono coronare il proprio sogno di convolare a nozze.

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