Liolà

Liolà, testo più volte rivisitato da sceneggiatori e drammaturghi, viene messo in scena nel 1992 con la regia di Maurizio Scaparro in un modo innovativo rispetto al passato. Il ruolo del protagonista, infatti, viene affidato a Massimo Ranieri, un attore che ha origini napoletane e non siciliane come il Liolà pirandelliano, ma che per questo non risulta meno convincente. La trama, ambientata nella campagna agrigentina, ricorda molto per ambientazione e personaggi i romanzi verghiani. Liolà, nome del protagonista, è un giovane contadino di campagna, portatore della gioiosità della sua terra, la Sicilia, che entra in contrasto con i valori della classe sociale dei possidenti terrieri, a cui appartiene lo zio Simone. Lo zio è afflitto per il fatto di non riuscire ad avere figli con la moglie Mita e non avere così nessun erede a cui lasciare i suoi possedimenti. Liolà, grande sciupa femmine, mette incinta Tuzza, una nipote di zio Simone, la quale però non ha la minima intenzione di ricorrere alle nozze riparatrici con Liolà, e fa quindi credere allo Zio che il figlio sia il suo, in modo tale dargli un erede e vivere così nell’agiatezza. Mita viene quindi ripudiata dal marito, ma, rimasta anch’essa incinta di Liolà può finalmente godere della felicità di madre e venire nuovamente accettata dal marito, mentre Liolà continua la sua vita da Don Giovanni.

Roman_masks

I tratti psicologici che caratterizzano i personaggi sono molto umani, come l’ipocrisia e l’egoismo degli abitanti del paese, attaccati solo alla ricchezza e ai beni materiali, basti pensare a Tuzza, interessata solo ai terreni dello zio. Liolà può essere visto invece come quel personaggio che scombussola l’ordine naturale delle cose e le regole della società in cui vive. Una sorta di paladino della giustizia, che agendo senza pensarci troppo, permette ad esempio a Mita di essere riaccolta tra le braccia del marito. Un aspetto che subito colpisce lo spettatore vedendo la messinscena di Scaparro è che Ranieri, durante la sua esibizione canora, non possiede l’accento siciliano come il personaggio originale, bensì quello napoletano, determinando così uno scarto all’interno della rappresentazione. Col procedere della pièce, lo spettatore viene calato all’interno di un’ambientazione che richiama la cavea di un teatro greco, con le gradinate ai lati, abile scelta scenografica del regista che cattura l’attenzione degli astanti, lasciando che lo sguardo si posi al centro di questo palcoscenico-anfiteatro, in cui gli attori recitano il loro dramma .

Epidaurus_Theater

Rimandi alla clownerie e al mondo del circo sono dati dall’abbigliamento di Ranieri, con la giacca a code rossa striminzita, il fiore all’occhiello giallo ocra e i pantaloni larghi. Mettendo a confronto questa messinscena con quella diretta e interpretata da Turi Ferro nel 1958, si notano subito delle differenze.

Maurizioscaparro

Nella rappresentazione di Ferro è presente un maggiore controllo dei movimenti degli attori da parte della regia, mentre in quella di Scaparro vi è più disomogeneità, come se gli attori si muovessero sul palco per conto proprio, senza seguire un ordine ben preciso. Inoltre, sempre nella regia di Ferro, la lingua utilizzata è il dialetto siciliano molto stretto, determinando così un maggiore realismo nella messinscena. Nel Liolà-Ranieri, a differenza del Liolà- Ferro, ciò che spicca maggiormente sono la sua musicalità e le sue qualità canore e vocali. Con Ranieri ciò che arriva dritto al pubblico è l’attore più che il personaggio a tutto tondo, cosicché l’attore non scompare mai completamente dietro al personaggio. Massimo Ranieri colpisce, arriva dritto al cuore dello spettatore, dimostrando così ancora una volta le sua qualità di cantante e di istrione, di poeta e di maestro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *