La pecora nera- elogio funebre di un manicomio elettrico

Ascanio Celestini torna in teatro col monologo: ‘La pecora nera- elogio funebre di un manicomio elettrico’ pièce che si è tenuta sabato 30 novembre al Teatro Sociale di Bergamo all’interno della rassegna ‘In necessità virtù’ (http://www.invfestival.it/).

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Con questo monologo, nato diversi anni fa, nel 2005, da cui successivamente sono stati tratto un libro e un film, l’attore vuole denunciare la realtà dei manicomi, istituzioni assolute che distruggono l’umanità degli individui. Pochi oggetti decorano il palcoscenico, tra cui un manichino, un paravento e alcuni prodotti alimentari. Al centro della scena l’attore comincia il suo monologo descrivendo le vicende di Nicola, un uomo che da 35 anni vive in manicomio e che si ricorda la propria infanzia, quando da bambino andava a trovare la madre al manicomio insieme alla nonna, che distribuiva uova fresche a tutti i degenti, gli infermieri e i medici dell’ospedale psichiatrico.

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Nicola è un bambino un po’ più lento degli altri, con alcuni problemi comportamentali. Proprio per questo un giorno viene lasciato in osservazione nell’istituto per due settimane, fino a che verrà deciso che da quel luogo il piccolo Nicola non ne uscirà più. L’unico momento di svago che gli viene concesso è il settimanale appuntamento al supermercato, quando, insieme a un compagno dell’ospedale psichiatrico e a una suora va a fare la spesa. Qui incontra Marinella, una vecchia amica di scuola per cui Nicola aveva preso una cotta. Cominciano a chiacchierare parlando di quello che fanno, l’uno finito in manicomio e l’altra a lavorare alla macchinetta del caffè in un supermercato. ‘Io qui dentro ci vivo, non posso uscire fuori’, confessa Marinella. I due mondi, quello del supermercato e quello del manicomio, vuole denunciare l’autore, non sono poi così diversi l’uno dall’altro, entrambi istituzioni assolute che non lasciano libero l’individuo, l’uno sostituendo il valore del soggetto con quello della merce esposta e l’altro privando l’essere umano della libertà di agire e di pensare.

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Durante la narrazione finzione e realtà si confondono nei ricordi del protagonista e ogni tanto il monologo viene interrotto da registrazioni radiofoniche di persone realmente internate nei manicomi, testimonianze che l’autore ha raccolto insieme alla sua troupe di attori per documentare la vita in manicomio prima e dopo la legge Basaglia. ‘Io sono morto quest’anno’, recita Nicola, come se all’interno del manicomio l’individuo fosse già morto una prima volta, privato del suo essere, spersonalizzato e ridotto al ruolo di mera marionetta i cui fili vengono tenuti da medici senza scrupoli, pronti anche a torturare i malati di mente a colpi di elettroshock, pur di non far sentire la loro voce.

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Del resto sono numerose le forme d’arte che hanno denunciato il problema di queste istituzioni totali, dalla musica, pensiamo al testo ‘Ti regalerò una rosa’ di Simone Cristicchi o a un film di denuncia sociale come ‘Ragazze interrotte’di James Mangold, che descrive la vicenda di un gruppo di donne la cui umanità viene annullata all’interno di un ospedale psichiatrico americano. Una messinscena, quella di Celestini, che descrive la vita dei malati mentali non in maniera cruda e tragica, ma con con un tocco di ironia, quell’ironia che scaturisce dalle parole di Nicola che invitano lo spettatore a riflettere su un tema che riguarda da vicino la nostra società.

Della stessa autrice:

The country.

Liolà

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