Lo sguardo dell'altro

Swingeing London II – Richard Hamilton – 1972

Chissà perché? Chissà perché proprio ora, a molti anni di distanza, mi sono deciso a cercarlo. Domanda, per me, ancor più retorica. So bene che l’inconscio lavora.
Sto parlando di “La vita semplice”, un bellissimo libro di Ernst Wiechert, grande scrittore tedesco del novecento, chissà perché dimenticato. Beh in questo caso la risposta è più facile e non bisogna tirare in ballo l’inconscio. I temi che egli tratta nei suoi romanzi non sono molto in linea con il sentire della comunicazione di massa contemporanea.

Infatti, i suoi libri sono pervasi da un rapporto profondo, quasi mistico, eppure autentico, con la natura, in una dimensione dove aleggia l’interrogativo su Dio, del senso profondo del lavoro, di rapporti sociali che si direbbero conservatori, in realtà rispettosi dell’unicità di ciascun individuo, in un’atmosfera altra, quasi fuori dal tempo. Wiechert, a causa della sua opposizione al nazismo ed alla guerra, fu internato a Buchenwald. Concluse la sua produzione letteraria nel 1950 con “Missa sine nomine”, l’unico suo libro ancora disponibile in Italia.

Il libro

Così, tramite eBay, ho trovato, in una libreria di Palermo, una copia, probabilmente nascosta nel magazzino, de “La vita semplice”.
Si tratta di un’edizione Mondadori del 1940, verosimilmente la prima in italiano. Ed è stata un’emozione quando me la sono trovata tra le mani: la copertina dal contorno verde, le pagine ingiallite ma nel complesso ancora in buono stato. Forse la stessa edizione che all’età di 15 anni avevo letto, su consiglio del professor Romano Maggioni, mio insegnante di lettere al biennio delle superiori. Nel successivo triennio, ebbi poi, un altro insegnante di lettere, da noi studenti soprannominato Morfeo, il che dice del transfert che si era creato. Questi era capace, leggendo e commentando la “Divina commedia”, in una classe intenta, nel silenzio assoluto, ad occuparsi dei fatti suoi, di saltare un paio di pagine, senza avvedersene. Ci voleva il primo della classe, unico a seguire la lezione, per ricondurlo al versetto giusto.

Racconto questo aneddoto perché è interessante osservare la differenza di sguardo tra un professore e l’altro. Lo sguardo del prof. Maggioni era attento, interessato ai suoi studenti e certamente non fu per caso che mi consigliò quel libro che certamente rappresentava bene il suo sentire e sentirsi nel mondo ma diceva qualche cosa anche di me e del mio modo di sentirmi nel mondo. Insomma, egli ci vedeva e ci guardava.
Al contrario, lo sguardo del secondo professore era mancante, distratto; chissà dove guardava. Ci vedeva, certo, ma non ci guardava.

Una mia paziente, donna di circa 45 anni, mi raccontava che il suo nuovo compagno la fotografava molto spesso. Nella sua vita, fino ad allora, era stata fotografata poche volte.  Ciò che la sorprendeva piacevolmente e che la gratificava non era tanto il piacere narcisistico dell’essere oggetto dell’ammirazione dell’altro quanto, piuttosto, il percepire lo sguardo dell’altro come marca di interesse, di riconoscimento; certificazione del suo diritto ad esistere. Infatti, come spiega Lacan, il riconoscimento proviene sempre dall’Altro, non ci si riconosce da sé. Ad esempio lo sguardo della madre verso il proprio piccolo è uno sguardo speciale, particolare, per lui solo. E’ lo sguardo che lo identifica.

Quella paziente, poi, aggiunse: “verrà il momento che gli dirò di smettere di fotografarmi”. Affermazione di notevole acume, illuminante del rovescio negativo dello sguardo dell’altro; cioè del suo effetto persecutorio e annullante il soggetto. Effetto che la clinica contemporanea, ad esempio nell’anoressia e dei disturbi alimentari, nonché negli attacchi di panico, ne dà ampia attestazione. Si tratta di sguardi dell’Altro (con la a maiuscola), che non sono solo quelli del proprio simile ma anche quelli che si muovono nel “brodo” sociale nel quale si è immersi. Sguardi che indagano e soprattutto che controllano.
Nel caso dei disturbi alimentari e dell’anoressia il controllo porta il soggetto a voler fare a meno dell’Altro, a rifiutarlo, mentre negli attacchi di panico, produce, tendenzialmente, l’effetto opposto, quello della dipendenza dall’Altro.

In entrambi i casi si tratta di occhi che non guardano il soggetto, che non considerano la sua unicità e che non si chiedono quali possano essere i suoi desideri.

Mario Tintori
Psicologo Psicoterapeuta
www.psicologo.bergamo.it

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