Menù di guerra: consigli pratici per l’allestimento della tavola

«Brodo di tartarug, Blinis Demidoff, Quaglie en sarcophage, Insalata mista, Formaggi misti,
Savarin, Frutta mista, Caffè con tartufi al rum, Friandises: pinolate, frollini, amaretti;
Vini (Amontillado bianco ambra, Clos de Vougeot, Champagne Veuve Clicquot»

Il pranzo di Babette, di Gabriel Axel, 1987

 

Il post di questo mese unisce due tra gli argomenti per antonomasia del 2015: l’Expo e l’anniversario della Prima Guerra Mondiale con la tavola dei bergamaschi in tempo di guerra.

«Che cosa si mangia se dobbiamo ridurre al minimo possibile il consumo della carne?», sembra essere la domanda più frequente delle donne che dovevano provvedere al governo di una famiglia in tempo di guerra[1]. Per rispondere fa al caso nostro il «Bollettino del comitato bergamasco per le Scuole di Economia Domestica», consultabile presso la Biblioteca Angelo Mai. Il bollettino è ricco di ricette consigliate alle donne bergamasche per supplire alle carenze alimentari e all’aumento dei prezzi causati dalla guerra.

Manuale di 150 ricette_cucina di guerra

Innanzitutto si consiglia alle famiglie di sostituire le verdure alla carne, e meglio se «con poca spesa – e – con un po’ appena di buona volontà» erano coltivate in un orto casalingo. Una volta preparato l’orto si potevano ricavare verdure per ogni stagione, come carote, cavoli, cavolfiori, cicoria o lattuga, cipolle o cipollotti, fagioli verdi, fagioli in grani freschi, fave, piselli, patate, pomodori e zucchetti. A cui sono da aggiungere riso, uova, latte, pesce fresco e conservato, formaggi quartiroli, castagne secche, fichi secchi, ecc…

cucina di famiglia

Cosa si poteva cucinare con questi ingredienti rendendo alle famiglie piacevoli i pasti e evitando «qualsiasi ingiustificata querimonia per la mancanza della carne o di altri alimenti»?

Ecco qualche ricetta, magari riproducibile.

FRITTELLE DI STRACCHINO

Si mette al fuoco in una casseruola un quinto di latte e si fa bollire. Vi si aggiungono poi i 25 grammi di farina (anche farina di riso) un poco di grasso o di burro e si rimesta il tutto lasciandolo cuocere fino a che non si formi una pasta molle che si stacca dalla casseruola. Si toglie dal fuoco e si lascia raffreddare. Vi si mescolano poi poco bicarbonato, tre uova e 150 grammi di stracchino, sale e pepe. Si unge e si infarina una latta da forno e vi si mettono delle cucchiaiate di pasta. Il forno non deve essere troppo caldo, le frittelle si servono caldissime; per la loro cottura si calcola mezz’ora.

RABARBARO

Per sostituire lo zucchero necessario alla cucinatura del rabarbaro, basta far cuocere gli steli di rabarbaro con fichi secchi o con datteri finemente triturati. Le foglie verdi del rabarbaro trattate come spinacci, danno un ottimo puré.

PANATA

Si sminuzzano 200 grammi di pane raffermo e si mettono in una casseruola. Vi si versa un litro d’acqua, si sala e si cuoce a fuoco lento per un’ora circa, rimestando di tempo in tempo, perché il pane non si attacchi al fondo della casseruola. Al momento di servire la minestra vi si aggiungono alcuni cucchiai di buon latte. Si rimesta bene sul fuoco senza però lasciarla bollire.

Il bollettino spaziava dalle singole ricette ai menù completi, o distinte come erano chiamate,con i costi degli ingredienti indicati nella parte finale, come l’esempio che vi propongo.

A tavola

MENÚ

Polenta e latte – frittelle di mele e farina di castagne.

Latte bollito: circa mezzo litro a testa; frittelle: bagnate della farina di castagne (un quarto di chilo) con acqua o con latte, se ne fa una pastella densa, in cui si immergono delle fettine di mele che si fanno rapidamente friggere in olio od in strutto fumante. Un quarto di chilo di farina basta per mezzo chilo di mele. Occorrono circa 3 etti di olio. Tempo per la preparazione: 3 quarti d’ora. Costo: farina di castagne L. 0,40, mele cent. 25, olio L. 1,20, totale L. 1,85.

La questione della cucina e della gestione della dispensa erano, però, molto complesse perché si inserivano nel dibattito sulla mobilitazione femminile, rientrando tra gli ambiti che vedevano coinvolte le donne  nel prestare la propria opera a favore della patria.

Saper cucinare con poco e con parsimonia e gestire la dispensa significava, percuò, fare il bene della patria: «sappia essa [la donna] svolgere tutta la sua buona volontà, tutte le sue energie nella cerchia della propria famiglia, nel campo dell’economia domestica. In tal modo essa ben meriterà davanti a tutto il Paese e coopererà veramente, grandemente, al trionfo della santa causa nazionale»[2].

Cucinare una buona Panata diventava così uno dei modi con cui le massaie contribuirono alla guerra.

 

Note

Tutti i contenuti dell’articolo sono tratti dai numeri, dal 1914 al 1918, del «Bollettino del comitato bergamasco per le Scuole di Economia Domestica», consultabile presso la biblioteca Angelo Mai di Bergamo.

[1] Cucina di guerra, in «Bollettino del comitato bergamasco per le Scuole di Economia Domestica», anno IV, n. 6-7, giugno-luglio 1918.

[2] Le massaie sono invitate a spendere meno e a utilizzare meglio, in «Bollettino del comitato bergamasco per le Scuole di Economia Domestica», anno 1, n.5, agosto 1915, p. 5.

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