Nosferatu a Venezia (1988) di Augusto Caminito, un gioiello del nostro cinema ambientato fra le nebbie e i misteri della Laguna, in DVD per la prima volta in Italia.

Intorno al film

La collana Cinekult (CG Home Video) ritorna alla grande distribuendo per la prima volta in Italia un gioiello del nostro cinema, Nosferatu a Venezia (1988). Un film noto innanzitutto per il lungo e complesso travaglio produttivo, che Nocturno spiega nelle note allegate al dvd: “Inizialmente a dirigere il film era stato chiamato Mario Caiano, che diede però forfait a causa delle mattane di Kinski […] a quel punto, il timone passò nominalmente nelle mani del produttore Augusto Caminito ma in realtà a portare in porto il tutto fu Luigi Cozzi”. Dissipata finalmente la questione sulla paternità, possiamo concentrarci sul valore del film e godere appieno (grazie all’ottimo master) di questo horror artistico: un Klaus Kinski all’apice della sua geniale follia torna a vestire i panni del vampiro in una Venezia mai così decadente e spettrale ma al contempo affascinante.

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La vicenda

La nobildonna Helietta Canins (Barbara De Rossi) chiama a Venezia Paris Catalano (Christopher Plummer), un professore esperto di vampirismo, per dissipare un’antica e oscura leggenda che grava sulla sua famiglia. Durante una seduta spiritica, viene evocato Nosferatu (Klaus Kinski), che la tradizione vuole essere scomparso proprio durante il Carnevale del 1786: il vampiro torna nella laguna per cercare la donna amata due secoli prima, che sembra essersi reincarnata proprio in Helietta. Mentre il non-morto semina vittime fra le calli veneziane, il professore e altri uomini del castello gli danno la caccia: ma solo l’amore di una ragazza vergine può ucciderlo.

Narrazione e stile

Nosferatu a Venezia nasce in un momento difficile per il cinema italiano: quei fatidici anni Ottanta che, a causa delle nuove tv private, stavano mettendo in crisi numerosi generi. Tanto di cappello, dunque, per chi ha deciso di investire in un prodotto così ambizioso (anche troppo, viste le risorse a disposizione), collocandosi nella scia dei gloriosi horror gotici degli anni Settanta. Perché il film di Caminito è innanzitutto quest’atmosfera che vuole omaggiare e riproporre: un’aura spettrale e decadente, sospesa nel tempo e nello spazio, sepolcrale e al contempo romantica. Oltre alle ambientazioni (molto curate sia negli esterni che negli interni, fra palazzi e cripte), sono presenti numerosi temi del gotico classico (il doppelgänger principessa-antenata, la maledizione, l’apertura della cripta, l’amore e la morte), mescolati con elementi tipici dell’horror anni Ottanta (le due scene di esorcismo).

La scelta del soggetto è particolarmente azzeccata perché unisce una città e un personaggio dal fascino assoluto. Venezia, città gotica e misteriosa per eccellenza, si presta a meraviglia come ambientazione di film horror e thriller. Nosferatu è il vampiro più celebre della tradizione (dopo Dracula, di cui costituisce una sorta di alter-ego): portato sullo schermo per la prima volta da Murnau con Nosferatu il vampiro (1922), fu riproposto da Herzog e interpretato da Klaus Kinski in quel capolavoro che è Nosferatu, il principe della notte (1979). Proprio Kinski fu scelto per questa originale riproposizione veneziana, e gran parte del fascino decadente e visionario deriva dall’interpretazione del geniale attore tedesco (valorizzato dai numerosi primi piani allucinati). Il Nosferatu di Caminito presenta però un’estetica abbastanza diversa dai modelli tedeschi (e pare che proprio questo fu uno dei motivi di attrito fra Kinski e Caiano): niente unghie lunghe e orecchie a punta, la testa calva sostituita da una folta chioma grigio cenere. Rimane però invariata la morbosità, l’aura sospesa fra crudeltà e bisogno d’amore, il connubio fra Eros e Thanatos, il fascino perverso e il portamento da nobiluomo (sia nel vestire che negli atteggiamenti). Se vogliamo, Nosferatu a Venezia estremizza la natura stessa del vampiro, un essere infelice sospeso fra la vita e la morte che qui anela alla pace eterna (raggiungibile solo accoppiandosi con una ragazza vergine).

La forza del film risiede innanzitutto nella costruzione dell’atmosfera e nell’accostamento quasi paratattico di scene “pittoriche”. L’immagine di Kinski su una gondola immersa fra le nebbie possiede un valore assoluto, tanto da essere immortalata sulla locandina. Il viaggio del vampiro in riva al mare, il suo sguardo rivolto al tramonto, le silenziose passeggiate fra i sontuosi palazzi e le calli lagunari, le scene in una Piazza San Marco deserta, il volo del suo “spirito” sopra la città e il finale nella nebbia sono solo alcuni dei momenti più suggestivi. La Venezia contemporanea immortalata nel film è più che mai mortifera, così come lo è stata due secoli prima a causa della peste (efficaci anche le sequenze di ricostruzione storica): fuori dalle eleganti dimore patrizie, le stradine sono invase dai ratti, ad ogni angolo ci si può imbattere nel fatale morso del vampiro, la Piazza è nebbiosa e desolatamente vuota. Grande cura nella fotografia (di Antonio Nardi), in grado di valorizzare sia i toni cupi che i colori sfarzosi; da notare anche le forti variazioni di tonalità, che spaziano dal virato seppia delle scene iniziali e conclusive nei campi alle sequenze in bluette (uno stile, quest’ultimo, tipico di Luigi Cozzi).

Kinski è il fulcro essenziale del film, ma anche gli altri componenti del cast sono convincenti e azzeccati, ciascuno col volto giusto: dalla bella e tormentata Barbara De Rossi al novello “Van Helsing” Cristopher Plummer, dalla curiosa figura di Don Alvise (Donald Pleasence) alla sempre inquietante Maria Cumani Quasimodo (moglie del celebre poeta), proseguendo con i vari caratteristi Yorgo Voyagis, Anne Knecht ed Elvire Audray.

La colonna sonora

La colonna sonora, sempre fondamentale in un film, lo è tanto più in un prodotto come questo che gioca molto sulle atmosfere. Le musiche sono affidate al Maestro Luigi Ceccarelli, non solo compositore ma uomo di cultura a 360 gradi (regista televisivo, documentarista, direttore artistico di teatri ed eventi culturali). Ceccarelli capisce a meraviglia l’atmosfera che deve trasmettere, e la traduce in sonorità gotiche dal gusto squisitamente anni Settanta: melodie romantiche e malinconiche, con vocalizzi maschili e femminili, alternate a brani più lugubri e cadenzati nei momenti di maggiore tensione. In aggiunta, sono presenti musiche del compositore greco Vangelis, tratte dall’album “Mask”.

Davide Comotti

Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.

Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente.

Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.

Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.

Esordisce nella scrittura su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com). Attualmente, scrive sulla rivista cartacea “Bergamo Up” e sulle riviste online lascatoladelleidee.itciaocinema.itmondospettacolo.comhorror.itmalastranavhs.wordpress.com e nonsologore.it. Ha redatto inoltre alcuni articoli per il sito della rivista “Nocturno Cinema” (nocturno.it).
Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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