L’Italia vuole le imprese?

Ogni giorno sentiamo le affermazioni delle cariche istituzionali, degli esponenti del governo e dei partiti che è necessario rilanciare l’economia, che si deve fare di tutto per agevolare l’occupazione e l’imprenditoria. Tali dichiarazioni, tuttavia, sembrano in contraddizione con gli eventi che la quotidianità propone, quando la realtà si scontra con la rigidità delle norme (emanate dalle stesse persone di cui sopra) e sulla loro applicazione.

Le sentenze della Cassazione

Anni fa sono stati introdotti due reati tributari per contrastare gli imprenditori che volontariamente non versano l’iva o le ritenute fiscali d’importo superiore ai 50.000 euro annui.
La norma ha lo scopo di sanzionare penalmente quei soggetti con pochi scrupoli, che spesso aprono e chiudono ditte costituite quasi appositamente per frodare l’Erario (oltre che altri soggetti imprenditori). Con la crisi, tuttavia, nella rete dei trasgressori, sono finite sempre più numerose le imprese (specialmente quelle più grandi), in difficoltà economiche, che nulla hanno a che vedere con i truffatori. L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, riscontrata con il controllo delle dichiarazioni iva e dei sostituti d’imposta la violazione della norma, segnalano automaticamente alla Procura della Repubblica le notizie di reato. Con il risultato di intasare gli uffici giudiziari, mentre cominciano a giungere le sentenze definitive della Corte di Cassazione sul punto.
Malgrado alcuni Tribunali avessero assolto l’imprenditore che, dimostrato di trovarsi in gravi difficoltà economiche in conseguenza del mancato adempimento da parte dei creditori della sua azienda, tra cui ci potrebbe essere la stessa Pubblica Amministrazione (è nota la denuncia delle categorie imprenditoriali del cronico ritardo nei pagamenti), non aveva provveduto a versare i tributi sopra la soglia dei 50.000 euro annui, la Corte di Cassazione è stata tranciante.
A prescindere dalle ragioni che abbiano causato il mancato versamento, l’omesso pagamento di iva e ritenute fiscali oltre soglia è sempre un reato.
Anche l’incolpevole mancanza di liquidità, ad esempio il mancato incasso dei propri crediti e quindi della stessa iva esposta in fattura, non esime l’imprenditore dall’obbligo di versamento dell’imposta.
La norma, purtroppo, non riesce a discernere la differenza tra chi omette dolosamente il versamento e chi non versa perché in difficoltà economiche e che deve versare l’Iva che non ha mai riscosso. L’imprenditore, invece, per evitare una condanna (certa) da sei mesi a due anni, deve saldare i debiti con l’Erario, anche a scapito di dipendenti e fornitori.
E’ stato da più parti sollevato il problema, chiedendo l’intervento del legislatore per una semplice modifica normativa, che annullasse l’automaticità della commissione del reato nel caso ad esempio del mancato incasso dell’iva, senza, ad oggi, risultato alcuno.

Taranto manifestazione per Ilva

Il caso Ilva

Sono stati scritti fiumi d’inchiostro sulla decisione della famiglia Riva di sospendere l’attività degli impianti di produzione elettrosiderurgica a seguito del provvedimento di sequestro dei siti produttivi e dei conti correnti, a tutela dell’eventuale risarcimento dei danni in caso di condanna per i reati ambientali legati allo stabilimento dell’Ilva di Taranto, di cui sono accusati i suoi membri. Si tratta di un sequestro preventivo da 8 miliardi per un processo ancora ipotetico, in quanto gli indagati non sono ancora stati rinviati a giudizio e si attende ancora la chiusura delle indagini.
A fronte di un’eventuale condanna definitiva in Cassazione, che potrebbe arrivare tra 4 o 5 anni, già oggi le altre attività del gruppo Riva (non l’acciaieria Ilva, per la quale il governo ha espressamente impedito con un provvedimento ad hoc il sequestro dei beni finalizzati alla produzione) subiscono un importante danno, che poi si riverbera sui dipendenti (che rimarrebbero senza lavoro) e sulle imprese dell’indotto.
Lo stop alla produzione potrebbe portare i clienti di Riva a rivolgersi a concorrenti all’estero, con conseguente impoverimento dell’economia italiana.
Se è vero che la magistratura, con la sua decisione, ha deciso di tutelare i sacrosanti diritti alla salute, alla sicurezza e all’ordine pubblico, non è da meno pensare di difendere il diritto al lavoro, pericolosamente messo in pericolo dal provvedimento.

Nimby

Per rimanere a Taranto, pochi giorni prima del caso Ilva, Enipower ha comunicato la rinuncia alla realizzazione di una nuova centrale a ciclo combinato di 100 MW alimentata a gas naturale (dopo che già nel 2011 aveva dovuto ridimensionare il progetto iniziale di 240 MW presentato nel 2007 a seguito delle opposizioni territoriali).
E’ l’ennesimo caso di rinuncia a progetti per le lungaggini burocratiche, spesso alimentate dalle resistenze degli esponenti degli enti del territorio.
Il rapporto Nimby (Not in my back yard – non nel mio giardino) afferma che nel 2012 vi sono state 354 opposizioni a impianti energetici e infrastrutture.
Tra le più note i termovalorizzatori in Campania, l’elettrodotto Sorgente-Rizziconi in Sicilia, il centro commerciale Ikea (bloccato in Toscana, Piemonte e Veneto).
I progetti più contestati riguardano il comparto elettrico, con 222 opere contestate (il 62,7%) e soprattutto gli impianti di energia da fonti rinnovabili (176 contestazioni), come le centrali a biomasse (con 108 impianti), le centrali idroelettriche (32) e i parchi eolici (32). Al secondo posto nella classifica di chi viene preso di mira, ci sono gli impianti di smaltimento dei rifiuti (23,8% del totale), seguiti dalle infrastrutture (7,6%).

Tornando al caso Enipower, se un’impresa italiana, addirittura controllata dallo Stato, estenuata dall’intreccio politica-burocrazia, desiste, come si comporteranno le imprese e le multinazionali straniere?

Risposta scontata: si dirigeranno altrove, come ha fatto Gas Natural (Spagna) che a seguito di un’attesa di oltre 8 anni senza definitiva risposta, ha deciso di realizzare in Croazia il rigassificatore previsto a Zaule (Trieste), a pochi chilometri di distanza in linea d’aria.

Ma l’Italia vuole le imprese?

Luca Leidi
Dottore commercialista

Telefono Studio: +39 (0)35 221161

luca.leidi@tomasiassociati.it

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