Notte sulla città (1972), l’ultimo noir del maestro Melville

Intorno al film

Jean-Pierre Melville (1917 – 1973) è riconosciuto universalmente come uno fra i più illustri cineasti francesi. Nessuno come lui è riuscito a ritrarre squarci di vita e malavita attraverso memorabili noir: cinema d’arte, pellicole d’autore che escono dai confini del “genere” per diventare autentici ritratti psicologici e sociologici, esplorazioni certosine e realistiche del mondo criminale ma anche della guerra (L’armata degli eroi) o dei mass-media (Le jene del quarto potere), sempre intrise di riflessioni esistenziali e filosofiche. Sceneggiature memorabili e interpretazioni gigantesche dei più grandi attori francesi (e non solo) si sono messe al servizio di una regia sempre impeccabile. La sua carriera ha conosciuto varie evoluzioni, culminanti nella fase della maturità con i grandi polar (termine nato dalla fusione di “poliziesco” e “noir” e indicante un genere squisitamente francese): Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide, Frank Costello faccia d’angelo, I senza nome, fino al meraviglioso e crepuscolare Notte sulla città (Un flic, 1972). Ultimo film di Melville, costituisce una summa e al contempo un epitaffio funebre della sua poetica cinematografica.

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La vicenda

Una banda di quattro gangster guidati da Simon (Richard Crenna) compie una rapina in banca a Saint-Jean-de-Monts, durante la quale un cassiere viene ucciso e un bandito rimane gravemente ferito. Nascosto il bottino, pianificano un colpo ancora più grande: il furto di una grossa partita di droga, al cui finanziamento è servita la rapina. Il commissario Coleman (Alain Delon), sempre di servizio durante la notte, fra un caso e l’altro indaga sui responsabili del colpo in banca, senza sapere che il gangster è l’amico Simon, gestore di un night-club. I due uomini sono divisi dall’amore per l’affascinante Cathy (Catherine Deneuve), complice del capobanda.

Narrazione e stile

Come altri film di Melville, anche questo è stato tradotto in Italia con un titolo forse più suggestivo ma completamente diverso da quello voluto dal regista: Un flic (“Un poliziotto”), diventa così Notte sulla città, volto a sottolineare l’ambientazione notturna e crepuscolare del film. L’addio di Melville al cinema è un capolavoro di rara intensità ed efficacia, come tutti i film del maestro: l’atmosfera malinconica e decadente che si respirava già nei suoi precedenti noir viene qui esasperata attraverso personaggi allo sbando, la rappresentazione di una peccaminosa città notturna, una fotografia dai toni cupi e la messa in scena di una storia amara in cui non ci sono né vincitori né vinti. Tutti elementi da sempre basilari nella sua poetica, e cifra caratterizzante di molti altri polizieschi francesi. Riassumere l’intera filosofia di Melville in poche righe sarebbe impossibile e riduttivo, e si rimanda quindi a saggi più esaustivi e completi: in sintesi, i suoi polar sono scevri da ogni enfasi, il poliziotto è lontano dai canoni eroici proposti dal cinema americano e italiano, non esiste una distinzione manichea fra “buoni” e “cattivi” – perché ogni personaggio risulta in qualche modo un perdente – e la sceneggiatura non è interessata tanto a creare spettacolo, quanto a esplorare la psicologia dei personaggi e i rispettivi rapporti. Nel polar di Melville, l’asciutto realismo non permette classificazioni umane di maniera: spesso il poliziotto e il gangster sono più simili di quanto si possa pensare, fra di loro può esistere un codice d’onore e di rispetto (come anche all’interno della malavita) e sono accomunati dall’amore per una donna e da una disillusione esistenziale. Notte sulla città, scritto e sceneggiato dallo stesso regista, è l’estremizzazione di tutto questo.

Come altri film di Melville, anche Notte sulla città si apre con una citazione colta, mai gratuita ma strettamente legata al racconto. Qui tocca a François-Eugène Vidocq: “Les seuls sentiments que l’homme ait jamais été capable d’inspirer au policier sono l’ambiguïté et la dérision…” (“Gli unici sentimenti che un uomo abbia mai potuto ispirare a un poliziotto sono l’ambiguità e la derisione…”), frase che il commissario sentenzierà amaramente al suo collega durante film. Una massima che esprime tutta l’amarezza, il nichilismo e la disillusione che il poliziotto sta vivendo. Introdotto dalla voce fuori campo che narra in prima persona, il magistrale e impeccabile Alain Delon (perfetto sia come poliziotto sia, altrove, come criminale: Borsalino, Il clan dei siciliani, etc.) è presentato in media res, mentre si accinge a compiere la sua ronda notturna in città: con un aplomb e una freddezza incredibili, lo vediamo muoversi fra l’omicidio di una donna e un giovane ladro omosessuale, per poi incontrare un travestito che gli fa da informatore e che rivestirà una funzione importante nella storia. Il mondo di Notte sulla città può essere riassunto in questa presentazione del protagonista e nella parallela rappresentazione dei quattro criminali: le due situazioni sono mostrate dalla regia attraverso un accorto montaggio alternato, quasi a mettere in scena le due vicende parallele che finiscono man mano per convogliare. Anche i gangster sono introdotti nel vivo dell’azione, mentre si apprestano a compiere la rapina: assistiamo quindi alla dilatazione temporale tipica di Melville, con primi piani, giochi di sguardi e lunghe attese che non annoiano mai, anzi aumentano la suspense e lo spessore estetico dei personaggi. Il capobanda Simon è interpretato dall’americano Richard Crenna (il futuro colonnello Trautman di Rambo), anch’egli elegante e freddo (prototipo del gangster francese) nonché avente una certa somiglianza fisica con Delon (quasi fosse la sua nemesi, e viceversa). Fra i complici, spicca il grande attore italiano Riccardo Cucciolla (sempre perfetto nel ruolo di uomo grigio e dimesso). La rapina avviene durante un temporale e col mare in burrasca, una sorta di presagio della rovina a cui tutti andranno incontro: con pistole, mitra e cappelli in tipico stile francese, il colpo avviene senza la spettacolarità che troviamo nei contemporanei prodotti italiani e americani, solo qualche sparo e una tesissima sospensione temporale. La sequenza più ricca di suspense è la rapina al corriere della droga sul treno in corsa, effettuata mediante un elicottero: circa venti minuti di adrenalina in cui il tempo del racconto e il tempo della storia (per usare i termini della narratologia) vanno sostanzialmente di pari passo, visto che i tre hanno esattamente venti minuti per effettuare il colpo. Melville aveva già dimostrato una cura minuziosa nella descrizione di grandi furti – vedasi in particolare I senza nome – e qui raggiunge probabilmente il culmine della spettacolarità: uno spettacolo però lontano da ogni fragore e da ogni stile fumettistico, bensì scandito da un secco realismo che riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo, mentre segue Crenna calarsi in volo sul treno con una fune, eseguire il furto e risalire sull’elicottero con un tempismo perfetto. Il tutto, sempre scandito dai consueti silenzi, sguardi e attese.

Protagonista del film è pure la vita notturna della città, che non fa da semplice contorno ma diventa parte integrante dell’universo narrativo: anche le situazioni episodiche, come i furti e gli omicidi di cui si parlava prima, non sono mai messe lì per caso ma sempre per arricchire il quadro umano a tinte fosche. Il commissario Coleman si divide fra l’ufficio, le grigie strade della città e i fumosi night club, incontrando personaggi ambigui: non solo il travestito, ma anche figure marginali come l’uomo anziano derubato dal giovane amante e i tre goffi scippatori condotti alla centrale di polizia – tutti caratteri dal sapore decadente. Poco spazio è concesso alla vita privata del protagonista, fedele esecutore del suo lavoro ma senza velleità di eroismo: gioca però un ruolo importante la bella Catherine Deneuve – prototipo della dark-lady nel polar – che si divide fra i due “nemici” senza fare una scelta definitiva. Arricchiscono la credibilità del film anche gli ottimi caratteristi: il collega di Delon, i due banditi in coppia con Crenna e Cucciolla, il corriere della droga “Mathieu la valigia” e altri ancora. Nella narrazione è notevole anche la separazione e lo scorrere parallelo delle indagini di Delon da una parte e le azioni dei banditi dall’altra: la storia si mantiene volutamente ambigua su cosa sappia il commissario relativamente a Simon e viceversa, fino alla scoperta della verità e all’amara conclusione di fronte all’Arco di Trionfo.

Come sempre in Melville, alla perfezione narrativa corrisponde una perfezione formale: pensiamo ad alcune inquadrature particolarmente ricercate (come il bacio fra Delon e la Deneuve ripresa dallo specchio sul soffitto, i primi piani raffinati, i campi lunghi sulla città), oppure al certosino montaggio di Patricia Nény – che si rivela decisivo nell’alternanza fra le situazioni e nella costruzione della suspense durante le due rapine. La fotografia di Walter Wottiz predilige i toni cupi, in sintonia col clima crepuscolare del film: il nero della notte (in contrasto con le luci dei locali notturni), il bluette e il grigio sempre presenti anche nelle scene diurne.

La colonna sonora

Melville, per Notte sulla città, decide di puntare su una colonna sonora minimalista e poco invasiva. Non c’è un brano portante che rimane impresso, ma una musica d’atmosfera che compare di tanto in tanto: Michel Colombier compone una partitura dal sapore quasi jazzistico, costantemente lenta e malinconica (non poteva essere diversamente). Alcuni brani intradiegetici cantati all’interno del night-club vivacizzano per qualche momento l’atmosfera, che ripiomba però subito in uno spleen quasi baudelairiano: il silenzio prevale volutamente sulla colonna sonora.

Davide Comotti

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