Raccontare l’adozione internazionale, le storie degli “abbracciati”

I libri parlano di noi uomini, anche se non sempre ce ne accorgiamo, anche se stiamo leggendo un fantasy o un libro giallo. In un modo o nell’altro la letteratura racconta le nostre passioni, le nostre paure e le nostre esperienze. Quello che mi propongo è di presentarvi libri che non raccontino solo storie da tutti provate; ma libri speciali, per avvicinarci a tematiche a volte accantonate, a volte sentite solo al telegiornale, che ci sembrano lontane, ma sono vicino a noi.

Apro questa rubrica con il libro degli Abbracciati: “I ventidue canti di Doyel” di Shanti Ghelardoni.

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L’autrice è nata a Vasai, periferia nord di Mumbai, e appartiene alla prima generazione di figli adottati in Italia in ambito internazionale. Per molti anni lei e altri ragazzi adottati, ormai adulti, si sono incontrati per condividere insieme le proprie esperienze. Da quest’attività di gruppo nasce la raccolta di racconti “I ventidue canti di Doyel- un nuovo modo di raccontare l’adozione internazionale”.

Il libro rappresenta i paralipomeni a “Ritorno alle origini”, pubblicazione precedente della stessa autrice.

foto 1Sebbene si basi su esperienze realmente vissute, l’opera non vuole essere una cronaca dettagliata delle serate passate insieme dagli Abbracciati.
Infatti, a raccontarci le storie è Doyel, una cantastorie di più di millecinquecento anni, in crisi perché non ha più spettatori. Con Doyel si entra in un mondo fatato, attraversando «il globo in lungo e in largo», per cercare una storia completa, fino ad arrivare a un immenso giardino. Fantasia e realtà si mescolano sin dalle prime pagine, anche perché molteplici sono le fiabe all’interno del libro. Ci si imbatte in una principessa che aveva come unici amici i serpenti, si conosce la famiglia Conunalberointesta, un bambino che viene dal paese di Moltolontano, si incontrano maharaja e danzatrici e… il resto lo lascio scoprire a voi.

Insieme alle favole, però, Doyel ci racconta anche le storie degli Abbracciati e l’opera si può suddividere in due parti: un primo ciclo, fino al decimo canto, in cui prevale una narrazione intimistica, dove si conoscono i ragazzi del gruppo e ci si affeziona; e un secondo ciclo che affronta le diverse sfaccettature dell’adozione internazionale.

Ma chi sono gli Abbracciati? Sono i bambini che sono stati accolti, abbracciati da una nuova famiglia, ma non solo.
Gli Abbracciati, uniti da una forte empatia, raccontano le loro paure (per esempio di essere abbandonati), i ricordi della scuola, ma anche episodi spiacevoli, a volte di vero e proprio razzismo, altre volte semplici «imbarazzismi».

Molte sono le questioni affrontate nel libro a proposito di un tema così delicato e sempre attuale. Spesso, nei protagonisti, emerge il bisogno o la paura di tornare alle proprie origini, per colmare quel buco nero che si portano dentro. Mentre alcuni non sono mai voluti tornare nel paese natale, altri sono tornati e hanno incontrato la loro famiglia, con cui hanno mantenuto i rapporti.

Nel raccontare l’esperienza del viaggio, l’autrice si serve spesso di un’altra forma letteraria: la corrispondenza via lettere, con cui ascoltiamo la vera voce di chi sta vicino agli Abbracciati, di chi gli vuole bene, anche se da lontano.

Ne “I ventidue canti di Doyel” si sentono le voci degli Abbracciati, e viene spontaneo riconoscersi nelle loro storie, riflettere e sorridere con loro nel lungo percorso «che si deve compiere per riappropriarsi della propria storia e diventare persone complete»; ma si comprende anche che quest’abbraccio, vissuto dai vari protagonisti, deve avvenire per tutti i figli, che devono essere accettati per quello che sono.

Elena Ravasio

«Non sei sangue del mio sangue, non sei ossa delle mie ossa, ma meravigliosamente mia. E non dimenticare mai: non sei nata sotto il mio cuore, ma dentro.»

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