Racconti sotto l’ombra di un baobab di Eugenio Susani

Questo mese vi porto lontano, in un posto pieno di colori e di contraddizioni, di vita e danze e di pericoli e morte: l’Africa. Me l’ha raccontata in modo completo e affascinante Eugenio Susani ne “All’ombra del baobab”.

Il libro è composto da sessantacinque racconti, diviso in due parti ed è una sorta di diario di bordo dell’autore, che ha vissuto per lunghi periodi in Africa.

Eugenio in Africa

La prima parte è dedicata al periodo 1966-1969, quando per conto di Cooperazione Internazionale, Susani fu volontario laico a Kambia (Sierra Leone), dove insegnò lingua e letteratura inglese e francese. Come scrive la moglie dell’autore, Liviana Zoppi Susani, «l’Africa della prima parte è quella della giovinezza e della speranza». Kambia è un piccolo villaggio, con al centro le strade asfaltate e le case dai colori vivaci, e in periferia le case di lamiera, dove si vive di stenti. L’autore sa guardare al villaggio, in ogni minimo dettaglio, senza pregiudizi, e spinto dalla curiosità di sapere, che spesso gli fa porre domande che non riceveranno risposte.

Ci racconta la comunità, con le donne chiacchierone e gioiose al mercato, con il capo villaggio rintanato nel suo lusso, che non risponde alle richieste dei cittadini, con i pericoli più disparati: dalla malaria agli scorpioni. Ed è soprattutto la sua curiosità che lo spinge a indagare sulle tradizioni, come il periodo d’iniziazione cui sono sottoposti i giovani, ad ascoltare miti e leggende, che poi offre ai lettori e a partecipare quanto più può alla vita comunitaria.

Eugenio a Kambia  in classeSusani conosce gente del posto e li sollecita a raccontare e raccontarsi, parla con tutti, dal poeta/cantastorie, al fabbro, dal contadino alla ragazza che ammicca e ai suoi studenti che studiano «con la dedizione di chi pensa a un mondo migliore», sospesi tra la tradizione che vorrebbero dimenticare, e un futuro che immaginano diverso. Eppure talvolta si lascia prendere dallo sconforto, si sente inadeguato a capire quelle vite, inadeguato «a capire l’essenza di queste vite, condannate a guardare in faccia, attimo dopo attimo, il vuoto assurdo dell’esistenza».

dic.1991-Johannesburg-vecchia miniera aurifera con Bentivogli e AmigoniSe la prima parte è un’Odissea per la gente che l’autore incontra e conosce, per la condivisione nella narrazione, perché Susani come Odisseo è mosso dalla curiosità; la seconda è sicuramente un’Iliade per la guerra e le ribellioni che scoppiano all’interno del continente. «L’Africa della seconda parte è quella del disincanto» e riguarda gli anni dal 1982 al 1994, in cui l’autore è impegnato i progetti importanti, come “Acqua al Mali”, di cui però, ci dà solo qualche accenno, per lasciare ancora spazio alle vite, alla storia. Questa seconda parte è anche quella più ricca di viaggi, ci spostiamo in Senegal, Guinea, Somalia, Mozambico, Marocco, Sudafrica, Mali. Subito, rivediamo il villaggio di Kambia distrutto dalla guerra: i colori del mercato, la scuola, i giovani non ci sono più. Incontriamo profughi fuggiti dall’Etiopia e bidonville fatiscenti in Senegal. Se nella prima parte le donne erano operose e sorridenti al mercato, ora le donne profughe, senza più casa, senza più radici, si riuniscono disperate sulla riva del fiume a invocare la fine del loro dramma.

Kambia 1 Casa dei docenti

In tutto il libro rimane la precisione nelle descrizioni, sia che si tratti di un camaleonte, o di un abito tradizionale, dei venditori d’acqua o del piumaggio degli uccelli, delle danze o degli strumenti del fabbro. Susani ha una grande capacità: riesce a far immaginare al lettore tutto quello che vede, perché lo conosce bene, perché ha chiesto e osservato, e così ci può accompagnare per mano in un mondo che per noi sarebbe insondabile, ci fa riflettere assieme a lui, per diventare consapevoli che «la conoscenza del passato aiuta a capire e costruire il futuro».

è soprattutto la sua curiosità che lo spinge a indagare sulle tradizioni, come il periodo d’iniziazione cui sono sottoposti i giovani, ad ascoltare miti e leggende

                                                                                                               Elena Ravasio

Per le foto si ringrazia la sig.ra Liliana Zoppi

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