È evidente che il tempo (no, non il meteo) ci sta a cuore. Anche gli articoli sulle riviste di moda iniziano avvertendo ” Tempo di lettura: 3 min e 40 sec.”, perché noi vogliamo sapere se vale la pena leggerne uno su risvolto sì/risvolto no ai jeans skinny, perché, come continuiamo a ripetere, noi non abbiamo tempo.
Ma davvero possiamo dire “abbiamo”? Si può parlare di possesso per il tempo?
Se il tempo fosse qualcosa che si acquisisce, nulla ci impedirebbe di recuperarlo una volta perso, invece, con buona pace di Proust, nemmeno un debitore profondamente riconoscente potrebbe restituire il tempo perduto al legittimo proprietario.
Lo sanno bene i Signori grigi del romanzo “Momo” di Hende che, quando esauriscono i sigari fatti con gli Ora-fiore, sono costretti a rubare tempo di vita agli ignari abitanti della città.
Ma cosa indica tutto questo? Quando qualcosa ci viene tolto senza che possa essere in qualche modo ripristinato – creando in noi uno stato di diminuzione – in filosofia si parla di perdita a livello dell’essenza. Questo significa che dovremmo trasformare il “noi abbiamo tempo” in “noi siamo tempo”? E il tempo, è così intrinsecamente connesso alla nostra esistenza da coincidere con essa?
Sì, noi siamo tempo, innanzitutto perché siamo fatti di tempo.
Bergson descriveva il tempo interiore come un gomitolo, in cui il presente del soggetto va ad aggrovigliarsi attorno al passato, traendone origine ed accrescendolo, senza distaccarsene mai.
Noi siamo intimamente tempo perché il fuori-tempo ci spiazza: di fronte ad una serie di giorni di pioggia in estate, ad un innamoramento in tarda età, ad una battuta goffa non sappiamo come reagire, siamo destabilizzati dallo slittamento temporale. A volte (perché non ammetterlo?) in modo piacevole.
Noi siamo tempo perché è solo grazie al tempo che conosciamo il mondo di soggetti-oggetti che pulsa attorno a noi: se non potessimo organizzare ogni singola esperienza secondo uno schema temporale preesistente nella nostra mente, diceva Kant, il nostro intelletto non sarebbe in grado di trattenere nulla, rimarrebbe una tabula rasa.
Noi siamo tempo anche perché siamo risultato del nostro tempo: in ognuno di noi riposa un po’ dello Spirito del tempo di hegeliana memoria. Quando siamo indotti dalle circostanze storico-culturali, che ci influenzano, alla scelta della vacanza in crociera o l’apericena vegan-chic, laddove il nostro bisnonno si sarebbe trovato ad optare per la Riviera adriatica in Mini mille e la salamella alla festa dell’Unità, anche lì, indipendentemente dalla posteriore valutazione positiva o negativa, siamo tempo perché il nostro tempo ci determina.
Noi siamo tempo anche, e perché, solo il nostro tempo ci sta stretto, vorremmo poterlo cambiare o viverne altri: non si contano i film, i romanzi, le elucubrazioni storiche costruite attorno all’esperimento filosofico del “What if…?”-“Cosa sarebbe successo se…?” . Già Agostino si domandava se Dio, onnipotente, avrebbe potuto contravvenire alle regole del tempo che lui stesso aveva creato e fare in modo che Roma non fosse conquistata dai barbari: i limiti, si sa, accendono l’immaginazione.
Noi siamo tempo perché siamo a tempo, finiti, a scadenza.
Noi siamo tempo perché, in barba alla nostra biodegradabilità, vogliamo fare cose che durano: l’urgenza di lasciare una traccia, pallida ma unica, ci ricorda che siamo e vogliamo continuare ad essere tempo.
Noi siamo il tempo che dedichiamo a noi stessi e agli altri, il tempo del gioco, della domanda, del cambiamento.
Noi siamo tempo perché non vorremmo mai arrivare a chiederci: “Siamo (ancora) in tempo?”.