Rischiamo una dittatura? Ma dai!

Ho riflettutto molto su queste parole prima di affrontarle e devo ammettere che fanno sempre paura, anche se usate solo per una riflessione, ma il punto non è la mia angoscia o quella di qualcun’altro, il punto di questa domanda è la realtà: rischiamo una dittatura? La risposta corretta purtroppo è “Sì la rischiamo, ma non solo oggi, la rischiamo sempre!”.

dittatura-anticattolica_1  La dittatura dei banchieri  13

Ammettendo che rischiamo sempre qualcosa quando facciamo un’azione, va detto che in questo momento siamo pericolosamente vicino alla dittatura perché non stiamo facendo le azioni corrette: partecipare, impegnarci, verificare, valutare, decidere.

La dittatura, da sempre vista come l’azione impositiva di una persona verso qualcuno, va in realtà vista come la possibilità data a una persona di dominare incontrastata su altre, che si rendono succubi perché cercano soluzioni d’interesse piccolo e meschino che permettano loro di “non fare” e “non preoccuparsi” di alcune questioni, detto questo si può anche dire che: il dittatore esiste perché il popolo lo vuole.
Giustamente si può contestare questa “formula” dicendo che non è vero, che il popolo è sempre diviso tra chi vuole e chi non vuole, ma ci si dimenticherebbe di quelli che subiscono passivamente dietro la giustificazione “Vediamo, proviamo anche questo”, dove per loro provare vuol dire sempre non dover pensare e preoccuparsi.

L’0pposizione esiste e esisterà sempre perché c’è chi è attivo, nessuno può contestarlo, ma bisogna ammettere che una ferrea opposizione in caso di un forte capo carismatico non esiste quasi mai e questo, oltre a implicare il superamento di diversi rischi, come la possibilità di una sanguinosa guerra civile, facilità la presa di potere.
Il carisma è un grande collante per le masse, perché porta alla divinazione, al riconoscimento di un uomo superiore, per cui si accettano visioni incredibili e fantastiche ad esso legate: ad esempio si diceva che a Benito Mussolini bimbo il padre leggesse “Il principe” di Macchiavelli tutte le sere, una panzana tra le peggiori per mitizzarlo.

Napoleone   mussolini   Hitler

A dar forza a questa riflessione sul rischio costante non ho grandi teorie farcite di retrologie ma solo la storia: Napoleone Bonaparte, un mito di libertà, nacque politicamente sull’onda della rivoluzione francese e divenne dittatore proclamandosi console a vita nel 1802, dopo un colpo di stato, e imperatore nel 1804; Mussolini divenne dittatore nel 1922 sfruttando il consenso acquisito presso gli ambienti sociali più influenti del regno e restò tale per vent’anni; Hitler divenne dittatore grazie alle masse e stravolse il mondo; Stalin fu dittatore dal 1926, adorato dai russi e osteggiato attivamente solo dalle storiche rivalità culturali caucasiche che da sempre sconvolgevano l’equilibrio del dominio russo, sin dai tempi degli zar, oltre che dai suoi oppositori, ma dopo la sua morte; Franco vinse la guerra civile spagnola, combattuta da due blocchi: fascista e nazista contro quello anarchico e comunista,  rimanendo al potere per trentasei anni; Pol Pot nacque come rivoluzionario e divenne dittatore.

Per tutti le masse compiacenti svolsero un ruolo fondamentale.

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L’uso della violenza per la dittatura fu ed è fondamentale, ma l’assoggetamento non avviene solo in quel modo, ma segue la via del consenso e della volontaria sudditanza mentale.

Oggi la violenza è una pratica ancora attuale per tutte le dittature, però suddividibile in due aree azione:  quella fisica e quella di sistema. I casi a noi contemporanei di violenza fisica sugli oppositori, o sulla popolazione, solitamente si hanno solo in aree particolari del mondo dove interessi economici, definiti da chi è protagonista nei mercati “superiori” (sic!), portano alla nascita di figure violente e senza scrupoli che assoggettano uno stato eliminando con la forza il potere precedente, come in Cecenia con Ramzan Kadyrov, in Bielorussia con Aleksandr Lukašenko, in Liberia ai tempi di  Charles Taylor,  per avere rapido accesso a risorse minerarie e energetiche da parte di soggetti economici stranieri.

Accanto a questa c’è quella di sistema che si può spiegare con questo concetto:“il mio interesse a favore del tuo benessere, il tuo benessere a favore del mio interesse” dove la popolazione si lascia drogare con abitudini sbagliate che creano un benessere illusorio, regolarmente definito come labile e rafforzabile solo attraverso il baratto (fallimentare) dei singoli diritti a favore di interessi economici che i retrologi definiscono “superiori”, ma che in realtà sono solo frutto della cupidigia umana, quella ben raccontata da Giuseppe Gioacchino Belli nel sonetto “La golaccia” e da Giovanni Verga nella novella “La roba”.

La dittatura inoltre ha bisogno di menzogne e di gente che è pronta a credere a ciò che sente per poter vivere.

Ignazio Silone scrisse un bellissimo libro per affrontare una serie di temi di rilievo riguardanti le dittature, dal titolo “La scuola dei dittatori” dove a uno dei personaggio (Tommaso il cinico, nda) fece dire: “Anche alla dittatura è utile ostentare titoli di legittimità, e tra essi i soli che oggi abbiano corso, sono quelli che si richiamano alla volontà popolare. E’ una menzogna, d’accordo, ma la dittatura totalitaria non può farne a meno“.
La leggittimazione però non è solo personale, ma è data dalle masse che sostengono la dittatura, la sua violenza e le sue menzogne. Siamo noi che ci buttiamo nelle braccia del dittatore leggittimandolo, quando non contrastiamo con la nostra partecipazione qualsiasi scelta a lui antecedente, o quando lo scegliamo per i suoi slogan più che per il suo programma. Siamo noi che ci affidiamo, deleghiamo e speriamo, che diamo forza a una dittatura. Non si deve sperare, si deve fare.

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Ma come accade tutto questo? I passaggi sono molteplici e ben visibili, ma stranamente senza responsabilità oggettive, infatti, non si trovano mai persone consapevoli di aver commesso un errore, ma solo persone convinte di essere nel giusto e persone che rinnegano, dando colpa a fatti, tempi, moti che li hanno travolti, anche se loro ne erano gli organizzatori o gli autori. Difficilmente si troverà qualcuno che ammetterà di aver sbagliato nel vedere in una persona di carne e ossa, che vive insieme a noi un tempo, un illuminato, in grado di gestire il tempo facendo solo azioni personali che cambieranno le cose. Nemmeno quelli che si svegliano dal loro sogno igenuo e utopico, ammetteranno di aver sbagliato, e molti preferiranno morire piuttosto che ammettere.
Citando George Orwell e “La fattoria degli animali” ricordo la figura di Gondrano, il cavallo votato alla causa animale che muore schiacciato dal suo lavoro. Un lavoro che alla fine servirà per consolidare i maiali al “potere” perché “Gli animali sono tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri”. Gondrano è la metafora dell’ingenuità di chi sceglie credendo di essere nel giusto e opera per la sua scelta, di chi poi si lascia guidare ciecamente dalle masse che non hanno deciso, non hanno scelto e non vogliono fare, ma che belano all’unisono il loro entusiasmo perché così salvaguardano il loro interesse. Gondrano è quella parte di popolo che opera e poi si schiaccia da solo, è chi compie l’atto ingenuo che rafforza l’idea, vive in buona fede ma viene tradito da se stesso portandosi a non voler vedere la realtà.

Noi siamo i principali responsabili di una dittatura, perché se mitizziamo deleghiamo il nostro saper pensare, vivendo con la speranza di poter stare bene e senza responsabilità dirette; noi siamo i colpevoli dei mancati cambiamenti, perché giustifichiamo la nostra assenza con frasi tipo “Tanto fanno quello che vogliono”; noi siamo causa della riduzione dei nostri diritti, della perdita dei nostri principi umani, della scomparsa della parola solidarietà, perché con la nostra assenza diciamo a chi ci vorrebbe guidare che ci fidiamo ciecamente, arrivando a giustificarne l’errore di interesse e il tradimento dell’idea, perché lui al posto nostro farebbe lo stesso e noi al posto suo saremmo uguali; noi siamo il gregge belante descritto da Orwell che non vuole leggere e vive di slogan, perché ci danno forza, perché ci alleggerisce il carico delle responsabilità personali, perché ci giustifica; noi siamo la dittatura.

Il fascio prima di diventare violento faceva propaganda per le masse, poi invitato a prendere spazio e potere in modo veloce ha agito senza pietà. Ma il fascio è solo un esempio di dittatura, perché tutte le dittature partono come enormi movimenti popolari per poi diventare ghigliottinatori del popolo, come la Comune di Parigi di fine ‘700 insegna.

Per evitare la dittatura bisogna controllare il territorio in cui si vive, bisogna stimolare la propria sensibilità portandola a livelli altissimi, bisogna credere di più nelle proprie capacità determinative e, infine, bisogna informarsi usando tutte le fonti a disposizione, anche quelle di chi è l’esatto contrario di noi, ricordandoci che in tutte le parole dette dalle persone sta la forza di un’idea. Per evitare la dittatura bisogna essere responsabili, e non sto parlando di Scilipoti (uno così esiste davvero, sic!).

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