Sono solo parole

“Una fotografia vale più di mille parole”
“Fatti, non parole”
“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”
“Parla come mangi”
“A parole sono tutti bravi”
“Parole al vento”

La saggezza popolare non ci consegna un’immagine particolarmente confortante del ruolo della parole nell’esistenza
quotidiana.

nauman_100 Live and Die

Le parole appaiono vacue, mutevoli, ininfluenti: espressioni di sé astratte o di facciata, non sembrano possedere la stessa efficacia di un’azione energica al momento giusto.

Critiche spesso mosse anche alla filosofia, dipinta come un castello di parole fumose profuse da individui che si compiacciono dell’elitaria insondabilità dei propri arzigogolii mentali.

Il linguaggio, così come la filosofia, ha però un potere sottile – e perciò immenso: è costruttore di realtà.

calligrafia-farsi_fondo-magazineTanto in Genesi quanto nella mitologia Navajo, in “Alice nel paese delle meraviglie” quanto nelle teorie filosofiche di J.R. Searle1, non si crea mediante un fare: è con la parola che si conferisce esistenza a nuovi mondi. Parole come no, ancòra, chissà sono un mondo nel momento stesso in cui vengono proferite. Mondi che diventano l’unico orizzonte vivibile, mondi in cui rifugiarsi a prendere fiato, mondi da cui immaginare strade per rendere il proprio diverso.

E’ stato John Austin, maestro di Searle, a sottolineare, in “How to do things with words”, la necessità di far emergere la funzione di prestazione (“performance”) del linguaggio: ogni parola o frase è un’azione (“atto linguistico”) che plasma e modifica l’ambiente che l’accoglie. Basti pensare all’atto performativo di una frase come “Io ti battezzo”: quando parliamo facciamo accadere cose, siamo responsabili della nascita di una parte di realtà, personale e sociale.

Filosofia e linguaggio sono indissolubilmente legati anche in un altro senso: il pensiero si esprime in parole e il nostro set di parole – così come la lingua madre parlata- condiziona la produzione di pensiero, secondo un processo circolare ineludibile.

Senza contare che, tra le potenzialità delle parole, c’è anche la possibilità di essere utilizzate per parlare di se stesse: una prospettiva filosofica che tratta – contemporaneamente- il linguaggio come oggetto e mezzo d’indagine con cui sondare le modalità di interiorizzazione delle parole è l’ermeneutica.

0119-Apollinaire-violoncellooe0Tale sguardo, che ha visto in H.G. Gadamer e J. Derridda originali portavoce, indaga il sistema di precomprensioni che mettiamo in atto inconsapevolmente durante la lettura di un testo, ovvero il modo complesso attraverso cui le parole “vecchie”, già conosciute, condizionano la ricezione delle parole “nuove”.2

Anche cambiando totalmente prospettiva , si nota come la versatilità della lingua sia un argomento sensibile anche della tradizione islamica, la quale assegna alla parola un ampio spettro di funzioni: comunicare verità, veicolare simboli attraverso le stesse forme delle lettere, decorare al posto delle immagini luoghi ed oggetti.

Data quindi l’onnicomprensività del linguaggio, una sua sottovalutazione o immiserimento può dar luogo a conseguenze più negative di un’azione violenta o avventata.

Secondo Don Milani, ‹‹La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo, ma si misura dal grado di cultura e sulla funzione sociale… La parola è la chiave fatata che apre ogni porta. Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua».

Il contadino è allora povero soprattutto perché non possiede tante parole quante l’avvocato o il dottore. Anche L. Wittgenstein aveva messo in allarme al medesimo riguardo, quando sosteneva che i limiti del linguaggio segnano i limiti del mondo: più è circoscritto il nostro panorama linguistico, più siamo “poveri di mondo”.

Dunque il linguaggio, una convenzione essenzialmente contingente, presenta paradossalmente una potenza decisiva, rivoluzionaria: la parola può dar avvio, forma e svolta ad ogni evento e scelta. Prendendo spunto dall’installazione di arte concettuale “ One hundred live and die” di B. Nauman, grazie alle parole possiamo (far) vivere e (far) morire. E tutto quel che c’è in mezzo.

Note

1)‹‹Il linguaggio non descrive soltanto i fatti, perché, in un certo qual modo, li crea» (J. R. SEARLE, Mente, linguaggio, società.)

2)Fenomeno definito “circolo ermenenutico”

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