Il Ministero dell’Economia, anche al fine di recuperare risorse finanziarie per evitare la riduzione di detrazioni e deduzioni fiscali previste dalla legge di stabilità del Governo Letta con la clausola di salvaguardia, sta pensando alla riforma della tassa sulle successioni.
Le ragioni dell’imposta
L’imposta sulle successioni (chiamata da alcuni tassa sul morto) è considerata dagli italiani particolarmente impopolare.
Sono state costruite campagne elettorali sulla sua abolizione o riduzione e, dall’altra parte, sul suo inasprimento. Chi avversa tale imposta afferma che si tratta di tassare beni acquisiti con dei redditi già sottoposti a imposizione fiscale al momento della loro formazione o percezione.
Dall’altra parte chi preme per un aumento attribuisce all’imposta una funzione di redistribuzione sociale, in quanto andrebbero tassati soggetti che normalmente non hanno prodotto la ricchezza che ereditano.
In Europa e negli Stati Uniti la tassa è maggiormente sopportata (e anche giustificata) laddove i cittadini ritengono adeguati i servizi che lo Stato loro offre e in quanto viene percepita quale contributo per creare e mantenere un contesto ambientale ed economico che favorisca il formarsi del patrimonio.
Il regime attuale
La tassa sulle successioni ha subito negli anni precedenti diverse modifiche e revisioni.
La versione attuale prevede l’aliquota del 4% per i beni devoluti a favore del coniuge o dei parenti in linea retta (figli o genitori). È prevista, tuttavia un’ampia franchigia, pari a un milione di euro per ogni beneficiario. Per fratelli e sorelle l’aliquota sale al 6%, con una franchigia di 100.000 euro per ogni beneficiario. Per gli altri parenti fino al 4° grado e affini in linea retta (come i suoceri), nonché per gli affini in linea collaterale fino al terzo grado, l’aliquota rimane al 6% senza franchigia.
Per tutti gli altri soggetti, l’aliquota sale all’8%, sempre senza franchigia.
Oltre alle franchigie, il regime premiale attuale prevede che gli immobili, per il calcolo dell’ammontare del patrimonio da tassare, siano valutati al valore catastale e le quote sociali siano valutate in base al patrimonio contabile (non al valore di mercato).
Va ricordato che sono esenti da imposta (e quindi non rientrano nell’ammontare del patrimonio da tassare) né i titoli di Stato né le polizze assicurative.
Vi sono poi altre esenzioni, a determinate condizioni, per i trasferimenti delle aziende e delle partecipazioni in società di capitali o di persone se fatti a favore del coniuge o dei discendenti.
La tassa, come applicata attualmente, regala all’Erario un gettito di poco più di 600 milioni di euro (anno 2013). Si tratta di una tassazione più benevola rispetto a quella applicata negli altri paesi europei. Infatti in Italia l’imposta è pari allo 0,03% del PIL, a differenza di Francia (0,40%), Spagna (0,23%) e Regno Unito (0,18%), dove vigono aliquote d’imposta più elevate e franchigie più basse.
Il futuro
Sia per i motivi di gettito ricordati, sia per la tendenza a uniformare il prelievo fiscale in Europa, sia per spostare la tassazione dai consumi e dalla produzione alle rendite (come raccomandato dalla Commissione Europea), è allo studio la riforma della tassa sulle successioni.
La stampa specializzata ha profilato sia l’aumento delle aliquote, sia la diminuzione delle franchigie, anche per aumentare il numero dei contribuenti potenzialmente soggetti alla tassa. Attualmente, infatti, solo il 5,8% degli eredi in linea retta è colpito dall’imposta.
Le ipotesi sul tavolo del Ministero dell’Economia sono molteplici. Quella che sembrerebbe fornire maggiori garanzie per assicurare equità nella nuova distribuzione del prelievo, prevede l’aumento dal 4 al 5% dell’aliquota per gli eredi in linea retta e all’8% per gli altri parenti.
Per quanto riguarda le franchigie, per i parenti in linea retta potrebbe assestarsi tra i 200 mila e i 300 mila euro mentre per fratelli e sorelle tra i 30 mila e i 50 mila euro.
Che fare
Un po’ per scaramanzia, un po’ per incoscienza, un po’ perché come visto la tassa di successione colpisce una fetta relativamente piccola dei cittadini, solo pochi italiani “pianificano” le conseguenze dell’evento negativo.
Da un’indagine, realizzata da GFK Eurisko nel giugno del 2013, è emerso che ben otto italiani su dieci non hanno mai preso nemmeno in considerazione l’idea di mettere nero su bianco le proprie volontà.
Sei intervistati su dieci, hanno dichiarato di non aver nessuna intenzione di farlo nemmeno in futuro, il 21% non ha mai valutato l’idea seppur non la escluda; solo l’8% del campione ha fatto testamento.
Eppure le liti tra gli eredi sono all’ordine del giorno: probabilmente tra i lettori vi sarà qualcuno che direttamente o indirettamente (amici, coniuge, compagno/a) ne è stato coinvolto. Per non parlare delle vicende salite agli onori della cronaca (Dalla, Pavarotti, Agnelli).
Il sistema normativo italiano prevede alcuni strumenti che possono, da un lato prevenire o limitare le tremende e furibonde liti che si generano tra gli eredi subito dopo la dipartita del de cuius, dall’altro pianificare anche l’esborso per la tassa di successione. Nulla di illegittimo o elusivo. E tale pianificazione risulta ancor più importante quando nel patrimonio vi sono le aziende di famiglia e si deve gestire il passaggio generazionale.
Testamento, donazione, patti di famiglia, polizze assicurative, trust, fondo patrimoniale, società fiduciarie, holding: sonotutti strumenti potenzialmente adatti per venire incontro alle peculiari esigenze di chi possiede un patrimonio e ne vuole evitare la dispersione al momento della propria morte.
Il mio consiglio, al riguardo, è di affidarsi al proprio professionista o consulente di fiducia.