THE BEST OF 2018

Di seguito, una selezione (in ordine alfabetico) dei 15 migliori film visti nella stagione cinematografica del 2018, distribuiti in sala o presentati nei Festival: come ogni elenco, non vuole essere esaustivo ma fornire una panoramica dal punto di vista di chi scrive, spaziando fra vari Paesi e vari generi.

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A CASA TUTTI BENE. Gabriele Muccino, dopo i successi americani (La ricerca della felicità e Sette anime sono i più noti), torna in Italia con L’estate addosso e soprattutto con questa brillantissima commedia drammatica (un dramedy, come si usa dire). Interpretata da alcuni fra i più celebri attori italiani contemporanei, narra di una tragicomica riunione familiare dove vengono a galla tutte le magagne nascoste. Muccino segue un po’, con le dovute distante, la strada delle commedie familiari di Ettore Scola e Mario Monicelli. Si sorride a denti stretti.

BLACKKKLANSMAN. Spike Lee, uno dei più importanti registi americani di colore, è noto soprattutto per i suoi film di impegno sociale. Dopo alcune incursioni nel genere thriller e horror, ritorna nel cinema d’autore, senza precludere però l’impatto spettacolare. Il film segue infatti la struttura del film poliziesco d’inchiesta, con un briciolo di humor nero, narrando la vera storia di un poliziotto afroamericano che si infiltra nel Ku Klux Klan con l’aiuto di un poliziotto bianco riuscendo a conoscerne il leader e a sventare un attentato. Sceneggiatura appassionante, regia di ferro, interpreti perfetti. Capolavoro, senza mezzi termini.

GHOST STORIES. Jeremy Dyson e Andy Nyman riportano in auge i bei vecchi horror inglesi definiti omnibus, cioè i film a episodi. Regia e sceneggiatura sono creative e ispirate, legando i segmenti (incentrati su storie di fantasmi) con una solida cornice che non è solo un pretesto, ma da il là per l’evoluzione della vicenda: prima sembra un classico horror a episodi, ma poi diventa qualcosa di diverso, un viaggio allucinante che richiama Il seme della follia di John Carpenter e un finale a sorpresa che ricorda Allucinazione perversa di Adrian Lyne. Brividi assicurati.

GO HOME – A CASA LORO. Luna Gualano dirige un film tanto riuscito quanto importante nell’Italia di questi tempi, premiato alla Festa del Cinema di Roma. Riprendendo la concezione romeriana dell’horror come metafora sociale, la regista mette in scena un’apocalisse zombie a Roma che costringe un ragazzo di estrema destra a rifugiarsi in un centro di accoglienza per immigrati. L’atmosfera del cinema di paura e gli effetti speciali sono al servizio di un solido film di denuncia che mette a nudo lo scottante tema del razzismo e neofascismo in Italia. Da vedere e rivedere per riflettere.

HEREDITARY. Presentato come un nuovo classico del cinema dell’orrore, il film di Ari Aster soddisfa in pieno le aspettative. Una famiglia americana, dopo la morte della nonna, deve far fronte a una serie di macabri eventi che sveleranno una maledizione lanciata dall’anziana signora. E’ sicuramente uno degli horror più agghiaccianti degli ultimi anni, con un’atmosfera opprimente e una tensione a tratti quasi insostenibile anche per i più abituati al genere. La regia unisce lo stile tipico delle vecchie ghost-stories con i jump-scares moderni, trasformando gradualmente un dramma familiare in un horror puro. Apparizioni, rituali demoniaci e incubi sono gli ingredienti primari. Terrificante.

IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE. Eli Roth dirige Bruce Willis nel remake del celebre film con Charles Bronson. Dopo l’horror e il thriller, il regista dimostra la sua versatilità nei generi dirigendo un ottimo action/poliziesco, anche se inferiore all’originale. La vicenda ripropone abbastanza fedelmente quella del 1974: il dottor Kersey decide di impugnare le armi dopo che alcuni delinquenti hanno ucciso la moglie e ferito gravemente la figlia. Rispetto al film di Michael Winner, qui c’è più spazio per la vendetta, condita con buone dosi di sangue, come tipico di Roth. Ottime le scene d’azione e violenza, e possiamo notare anche una critica velata alla società americana. Un buon remake.

LA BALLATA DI BUSTER SCRUGGS. Prodotto e distribuito da Netflix, è il secondo western dei fratelli Joel ed Ethan Coen dopo Il Grinta – o il terzo, se consideriamo anche il western contemporaneo Non è un paese per vecchi. Nato originariamente come una serie-tv, è stato poi trasformato in un omnibus con sei episodi e una cornice (formato insolito per il genere). Gli elementi del vecchio west(ern) sono rivisitati con l’occhio peculiare dei due fratelli, in bilico fra ironia e violenza, mito e disincanto (un western revisionista, potremmo dire): troviamo un pistolero canterino, un rapinatore di banche, uno show teatrale con un freak, un cercatore d’oro, una carovana di pionieri, un viaggio in diligenza.  Il western è ancora vivo.

LA FORMA DELL’ACQUA. Guillermo Del Toro vince il Leone d’Oro a Venezia e quattro Premi Oscar con questo toccante fantasy drammatico. Durante la Guerra Fredda, una ragazza muta (Sally Hawkins) conosce una creatura anfibia dall’aspetto umanoide e intraprende con lui una (im)possibile storia d’amore, osteggiata da un crudele ufficiale dell’esercito americano. Del Toro prosegue la sua personale esplorazione del fantastico, calibrando l’elemento sentimentale con quello fantasy/orrorifico e toccando varie corde (l’amore fra “diversi”, il contesto politico). Commovente e poetico.

LAISSEZ BRONZER LES CADAVRES. Dopo i neo-gialli Amer e L’étrange couleur des larmes de ton corps, la coppia di registi belgi Hélène Cattet e Bruno Forzani stupisce e conquista nuovamente la critica con una reinterpretazione del genere noir. Un gruppo di rapinatori, un carico d’oro, due poliziotti e alcuni ostaggi: la trama si dipana nelle pieghe del genere trasformandolo in un delirio visivo pop-psichedelico e coloratissimo, ricco di elementi surrealisti e visionari, con una regia sempre creativa e ispiratissima. Non per tutti.

LE GUERRE HORRENDE. Giulia Brazzale e Luca Immesi, dopo l’ottimo e jodorowskyano Ritual – Una storia psicomagica, cambiano genere mantenendo però la loro impronta squisitamente autoriale, favolistica e surrealista. Tratto da un’opera teatrale, è un film non classificabile in un genere preciso, spaziando dal fantasy al dramma, dalla commedia al film di guerra: tre personaggi si muovono in un bosco fiabesco, dove la fiaba si trasforma però in dramma. Un film d’autore impegnato, contro il fascismo e contro ogni tipo di guerra. Cinema d’arte.

REVENGE. Uno dei rari esempi di rape & revenge diretti da una donna. Coralie Fargeat si mette dietro la macchina da presa e realizza un’orgia visiva di sangue e azione, mescolando il thriller con l’horror e l’action. Il ritmo non ha un attimo di tregua, e la regia calca la mano sulla violenza con un’ampio utilizzo di effetti speciali gore e splatter, fra squartamenti e sbudellamenti. Carismatica la protagonista Matilda Lutz, trasformatasi in una sorta di Rambo al femminile per vendicarsi degli uomini che l’hanno violentata e quasi uccisa. Valore aggiunto è la fotografia “in acido”, dai colori saturi: il blu del cielo, il rosso del sangue, l’ocra della terra. Instant-cult.

SOLDADO. Un italiano alla conquista di Hollywood: Stefano Sollima, figlio d’arte e già apprezzato per i film ACAB e Suburra e le serie-tv Romanzo criminale e Gomorra, dirige il sequel dell’acclamato Sicario di Denis Villeneuve. Sostenuta da una sceneggiatura robusta, la regia è granitica e il film cattura lo spettatore dal primo all’ultimo minuto, grazie anche agli strepitosi interpreti Benicio Del Toro e Josh Brolin. La lotta al narcotraffico e al terrorismo prosegue fra dialoghi da antologia, personaggi ben costruiti e scene d’azione potentissime (l’attacco al convoglio blindato è da manuale). Quando il sequel supera l’originale.

THE END? L’INFERNO FUORI. Dopo una lunga gavetta, il regista indipendente Daniele Misischia sbarca meritatamente nel cinema che conta, grazie a una produzione degli inossidabili Manetti Bros. L’idea è semplice ma geniale, cioè unire lo zombie-movie con il trap-movie: il protagonista (Alessandro Roja, il Dandi della serie-tv Romanzo criminale) rimane intrappolato in ascensore durante un’epidemia che trasforma gli uomini in zombi. E’ una prova difficile per un regista, e Misischia la supera nel migliore dei modi, riuscendo a tenere alta la suspense attraverso vari espedienti narrativi. Il cinema indipendente che vogliamo.

THE SISTER BROTHERS. Il francese Jacques Audiard si cimenta per la prima volta nel genere western dirigendo una storia ricca di amarezza e disillusione che capovolge la mitologia della Frontiera. I fratelli del titolo (John C. Reilly e Joaquin Phoenix) sono due pistoleri incaricati di trovare e uccidere un uomo che ha fatto una preziosa scoperta. Due sono i tratti distintivi primari del film: il realismo e l’indagine psicologica, dunque ampio spazio ai dialoghi, ma non mancano sparatorie e scene di violenza. Il western è ancora vivo (parte seconda).

TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI. Martin McDonagh dirige un appassionante mélange di generi (poliziesco, drammatico, giallo, commedia) premiato con due Oscar. Frances McDormand è una donna che vuole fare luce sull’omicidio della figlia, scuotendo la sonnolente polizia impersonata da Woody Harrelson e Sam Rockwell. Indagine poliziesca, umorismo nero, esplosioni di violenza si alternano senza soluzione di continuità, con uno stile particolarissimo che ricorda quello dei fratelli Coen. Il lato oscuro del sogno americano.

 

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