Un messaggio di pace: “Non odierò” di Izzeldin Abuelaish

Alla luce di ciò che accade in Palestina dal 1967, e delle notizie che ci arrivano ancora oggi dalla striscia di Gaza, mi sembrava impossibile non parlarvi di un libro di pace, cresciuto in questa terra di guerra:” Non odierò ” di Izzeldin Abuelaish.

letteratura 300x300L’autore è un medico palestinese, nato e cresciuto nel campo profughi di Jabalia, a Gaza, nel 1955. Ha ricevuto il Common Ground Award nel 2009 per il contributo che ha dato in favore della riconciliazione tra palestinesi e israeliani. Candidato al premio Nobel per la pace, ha fondato “Daughters for Life”, in memoria delle sue figlie e di sua moglie, per promuovere l’istruzione e la salute delle donne, perché possano diventare promotrici del cambiamento.

letteratura 240x410In “Non odierò”, Abuelaish testimonia ancora una volta la necessità della pace e del dialogo tra palestinesi e israeliani e la speranza in un futuro migliore, come ha fatto durante tutta la sua vita, che il libro ci racconta. Attraverso flashback ci spostiamo nel tempo di questa striscia di terra, segnata dal sangue di troppi innocenti, seguendo i più importanti avvenimenti storici con uno sguardo personale. L’autore filtra la Storia atteaverso la sua storia personale, e così gli siamo immediatamente più vicini, mentre cerca di farci immaginare una terra sotto costante assedio e bombardamento. Per esempio, la guerra dei sei giorni del ’67 scoppia quando lui ha dodici anni e aspetta con ansia i risultati degli esami finali della 6°elementare e la guerra gli sembra la fine del mondo. Due mesi dopo il suo matrimonio scoppia la prima intifada; nella guerra civile del 2007 rimane ferito suo nipote e mentre sogna con i suoi figli nel 2009 di volare lontano da lì, tre delle sue figlie rimangono vittime dell’ennesimo attacco.

Anche nei momenti peggiori, come durante gli attacchi del 2008-2009, non rinuncia a testimoniare, a raccontare ai suoi amici giornalisti anche israeliani, che lo intervistano per telefono, che cosa sta succedendo davanti ai suoi occhi, mentre è costretto a rimanere chiuso in casa circondato da macerie.

 Il libro ci racconta la sua storia personale, ma Izzeldin accompagna ciò che racconta con dati precisi, discorsi ufficiali, rapporti di Amnesty International e spiega cause e conseguenze di tutti gli avvenimenti storici. In questo modo ci apre gli occhi su una situazione che non riguarda solo la sua famiglia, ma un intero popolo. La sua capacità di analisi, forse, gli deriva anche dall’essere un medico, di cui seguiamo tutti gli studi, i tirocini, i viaggi, le conferenze. È il primo medico palestinese in un ospedale israeliano (il Soroka). Specializzato in ginecologia e ostetricia, sceglie di prendersi cura sia delle donne palestinesi sia di quelle israeliane, convinto che «la medicina possa fare da ponte tra le popolazioni e che i medici possano essere messaggeri di pace».

Nonostante le terribili difficoltà che deve affrontare ogni volta che deve superare i confini, nonostante la perdita delle figlie, l’assenza di libertà, la guerra continua, le condizioni di vita che non rispettano i principali diritti dell’uomo; Abuelaish sceglie di non odiare, ma di seguire la via della luce, cioè della verità. È fermamente convinto che «l’odio è una malattia» che «impedisce la guarigione e la pace». Spinge i suoi figli a partecipare a campi di pace con ragazzi e ragazze di Israele, a confrontarsi e conoscersi perché è l’ignoranza dell’altro che genera odio e paura. Dalla rabbia per le sue perdite, ricava nuova linfa, trasforma la rabbia in potenza costruttiva e non distruttiva, come l’odio.  Il libro è intriso di messaggi di pace e di speranza in un futuro migliore, che non possono lasciare indifferenti.

«Costruiamo una nuova generazione, una generazione che creda che il progresso della civiltà umana sia compito di tutti e che le cose più sacre dell’universo siano l’umanità e la libertà. Invece di costruire muri, costruiamo ponti di pace.».

Elena Ravasio

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