Una luce bianca (2013) di Alberto Nacci

Quando la videoarte incontra la docu-fiction, in una commovente storia di tragedia e speranza

Intorno al film

Una luce bianca (2013) del regista Alberto Nacci rappresenta un singolare incontro fra documentario, dramma umano e videoarte. Di quest’ultima, Nacci è un brillante esponente: le sue opere, molto personali, spaziano fra cortometraggi realizzati per vari artisti contemporanei (Isometrie, per esempio), opere di videoarte come The moving town (che ha partecipato al 61° Festival di Locarno), documentari di arte e cultura, filmati di industrial-art e il progetto – in corso di sviluppo – Architetture del silenzio, con alcuni fra i più importanti esponenti della cultura contemporanea italiana e non. Nel 2011, Nacci avvia un lavoro complesso e delicato: una trilogia iniziata con The perfect machine (realizzata in collaborazione con cinque atleti paralimpici), proseguita con Una luce bianca (2014) e che sta per completarsi con un’opera in fase di scrittura.

unalucebianca

La vicenda

Una luce bianca (18’ 25”) è una docu-fiction che racconta la drammatica storia di Marcello: un giovane bergamasco che nel 2006 rimane vittima di un’emorragia cerebrale ed entra in coma a causa di complicazioni post-operatorie. Dopo 52 lunghi giorni di coma, fra la disperazione dei genitori e degli amici e numerosi gesti di solidarietà, accade l’incredibile: proprio quando i medici stavano per staccare la spina ritenendo irreversibile lo stato comatoso, Marcello si risveglia. Dopo aver affrontato una lunga riabilitazione, oggi è tornato finalmente a vivere una vita normale. Di quella tragica esperienza, ricorda solo una grande luce bianca, e il nonno materno che gli diceva “torna indietro, non è ancora arrivato il tuo momento”.

Narrazione e stile

Applicare le tecniche della videoarte a una vicenda così delicata, concentrando tutta la storia in meno di 20 minuti, può sembrare un’operazione azzardata. Invece funziona benissimo, a testimonianza sia del valore artistico, che della sensibilità umana di Alberto Nacci: Una luce bianca è un cortometraggio efficace, commovente, e al contempo molto ricercato dal punto di vista estetico (girato e montato in digitale HD).

Invece di scegliere il classico documentario, Nacci ricostruisce gli eventi con una scansione narrativa da docu-fiction, utilizzando sempre una grande sensibilità e una fedele ricostruzione degli eventi (il film è stato girato nell’ottobre 2013). Dopo le scritte iniziali che spiegano cosa è successo, vediamo il volto di Marcello steso accanto alla madre su uno sfondo nero. Compaiono poi, man mano, i volti dei genitori in primo piano (sempre immersi nel buio assoluto), mentre rievocano i tragici giorni successivi all’improvviso dramma: parole intense e commosse che testimoniano tutto l’amore per Marcello e la disperazione che stavano vivendo. In alternanza, dettagli sull’unione delle mani fra lui e la sorella, e un intenso primo piano del ragazzo disteso, ritratto con un gioco di luci e ombre che lo modellano come una statua. Dal punto di vista visivo, è notevole la rappresentazione dei volti: “un bianco e nero con una dominante blu su fondo nero”, per usare le parole dello stesso Nacci, un effetto complesso ottenuto “nel mio studio illuminato soltanto con un sistema di illuminazione selettivo a fibre ottiche”. Ai volti delle persone, si alternano (e a volte si fondono) elementi visivi tipici della videoarte – come una goccia e un rivolo d’acqua ripresi al rallentatore e una raffigurazione del cervello come una massa oscura filtrata da raggi di luce. Tutta la prima parte è dunque all’insegna del buio, evidente metafora del “buio della mente” che il ragazzo stava attraversando, con questi volti “fantasmatici” che emergono quasi fossero in un quadro. Invece, “Dal risveglio di Marcello in poi il fondo diventa bianco e i colori sono progressivamente svelati fino alla scena finale in chroma key con Marcello che chiude il film”, una rappresentazione del graduale ritorno alla vita e alla speranza. Alla prima parte “buia” segue infatti una seconda “luminosa”, che segue la riabilitazione di Marcello fino alla “luce bianca” e al volto sorridente del ragazzo che testimonia il suo grande amore per la vita e un forte messaggio di speranza.

Come spiega lo stesso Nacci, è stata un’opera dalla complessa realizzazione. Innanzitutto, dal punto di vista umano: dopo aver conosciuto il padre Luigi, sono trascorsi più di due anni per costruire un rapporto di amicizia e fiducia con Marcello e la famiglia – visto che l’opera comportava il rivivere situazioni così dolorose. Gli “attori” sono in realtà le persone coinvolte nella tragedia, che quindi “interpretano” loro stessi, con parole e pianti spontanei. Nacci ha scritto, nel corso del tempo, 4 sceneggiature: per esempio, una in cui era lo stesso Marcello a raccontare (ma i suoi ricordi sono troppo frammentari, quindi non è stato possibile), oppure un’altra dove Marcello si trovava in acqua come simbolo del ritorno alla vita (ma è stato impossibile per ragioni tecniche). Dopo aver letto più volte il diario che la madre ha scritto nei giorni del coma, Nacci ha trovato l’elemento giusto per raccontare la storia: prima nel buio del suo studio, poi in un centro di riabilitazione per le scene in cui è stato ricostruito il progressivo ritorno alla normalità di Marcello.

Una luce bianca si propone dunque come un’opera di forte impatto emotivo, interessante sotto vari aspetti: intenso dramma umano, raffinata opera di videoarte, riflessione sul confine tra la vita e la morte, e un sentito messaggio di Fede e speranza. Afferma infatti il regista: “Volevo fare un docu-film sincero. Un autentico messaggio di speranza sulla fragilità dell’uomo e la forza dei sentimenti di amore, amicizia e dedizione al proprio lavoro (medici e terapisti)”. Possiamo dire che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto.

La colonna sonora

Da video-artista, Alberto Nacci dedica la massima attenzione al rapporto fra immagine e suono. In Una luce bianca, il regista inserisce brani di vari artisti: Osterberg, Narholz, Newmann, Epping, Franko (Sonoton Musica). Un tappeto sonoro, a volte più delicato a volte più “grave”, che esprime tensione, tristezza e speranza, e che contribuisce in maniera determinante alla costruzione di un’atmosfera “sospesa”; specchio della sospensione fra la vita e la morte.

Davide Comotti
Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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