Fausto Russo Alesi veste i panni di Ivan nell’omonimo spettacolo coprodotto da ATIR Teatro Ringhiera e Teatro Donizetti, andato in scena al Teatro Sociale martedì 14 febbraio. Alesi interpreta così uno dei protagonisti de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij, Ivan, personaggio tormentato e il più assolutamente umano del romanzo, che pone al centro dell’opera questioni ideologiche e filosofiche su cui gli uomini si sono da sempre interrogati nel corso dei secoli. Partendo dai bambini e dalla loro sofferenza si chiede come mai se un Dio esiste può permettere che ciò accada. Recuperando in seguito uno dei capitoli fondamentali dell’opera, “La confessione del grande inquisitore” contenuto nel libro sesto del romanzo, passa a interrogarsi sulla questione del libero arbitrio in quanto Dio, lasciando liberi gli uomini di agire liberamente, ha permesso loro di poter scegliere anche il male, condannando l’umanità alla sofferenza.
Come ha sottolineato la regista, Serena Sinigaglia, la scelta di rappresentare il testo di Dostoevskij attraverso la figura di Ivan è nata dal fatto che esso incarni un personaggio straordinario, capace di esprimere una grande profondità. “Egli si pone delle domande e si tormenta per la sua incapacità di trovare delle risposte che riesca ad accettare con l’uso della ragione, ed è proprio attraverso le sue parole e i suoi dubbi che vogliamo veicolare i messaggi di Dostoevskij”. E una messinscena di tale calibro non poteva che essere rappresentata in una location come il Teatro Sociale, in quanto uno spettacolo intimo, a voce unica e ad attore unico richiedeva una maggiore vicinanza al pubblico, proprio come la struttura del Teatro Sociale permette di ottenere.
Altri punti di forza sono l’architettura del Pollack che ricalca l’atmosfera dell’epoca de “I fratelli Karamazov” e la scenografia, caratterizzata da una spirale luminosa, che rappresenta il pensiero di Ivan. L’attore, seduto sul bordo di questa spirale, grazie alle sue doto istrioniche riesce a passare velocemente da un personaggio all’altro anche all’interno di uno stesso discorso, come nel momento in cui alterna la voce di Ivan a quella del dispotico padre e a quella del demonio. La scena rappresenta lo spazio mentale che raccoglie il tormento a cui Ivan non riesce a trovar risposta. Come ha spiegato la regista Senigaglia: “durante tutto il monologo è come se Ivan si trovasse in un limbo, in una situazione intermedia che non è né inferno né paradiso, in cui è condannato per l’eternità a ripercorrere i passi che l’hanno portato alla pazzia, relazionandosi infine con altri personaggi, come il padre e il fratello Alesha, fino alla conclusione”.
Anche le luci e le musiche sono funzionali a sottolineare i passaggi mentali dell’attore e i suoi ragionamenti. Spettacolo ben riuscito non solo grazie alle doti attoriali di Fausto Russo Alesi ma anche a tutti coloro che vi hanno collaborato: dalla regista Serena Sinigaglia, alla drammaturga Letizia Russo, allo scenografo Stefano Zullo, al fonico Lorenzo Cela, fino al professor Fausto Malcovati, uno dei più grandi conoscitori di lingua e letteratura russa in Italia. Una pièce che intende porre delle questioni filosofico morali interrogando il pubblico, perché come accade con le opere di Dostoevskij solo facendosi delle domande si può provare ad essere delle persone migliori.