“E’ lontana la Birmania?”, con queste parole pronunciate a mezza voce comincia la messinscena dello spettacolo “Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi” con la regia di Marco Martinelli. La protagonista, interpretata da una bravissima Ermanna Montanari, racconta la storia vera di Aung Suu, premio Nobel per la pace, che ha lottato utilizzando le armi del dialogo e della democrazia per sconfiggere la dittatura nel suo paese, la Birmania.
Costretta agli arresti domiciliari per 20 anni, San Suu è stata liberata nel 2010 e siede oggi in parlamento nell’intento di portare la Birmania ad un graduale cambiamento attraverso un delicato processo di “transizione democratica”. Chiave di tutto lo spettacolo risulta essere quindi l’interrogarsi sul significato della democrazia. Partendo da un paese geograficamente lontano come la Birmania, infatti, possiamo interrogarci sulla nostra democrazia e sull’importanza di preservarla perché in qualsiasi momento essa può essere calpestata. Durante lo spettacolo questo concetto viene costantemente ribadito, andandosi a riallacciare a quel teatro sociale che deve avere il compito di scuotere le menti affinché lo spettatore prenda coscienza di ciò che accade, rapportando poi ciò che vede al contesto in cui vive.
L’efficacia del testo teatrale e della mise-en-scène sta proprio nel riuscire a trasmettere un significato politico e ideologico non rischiando mai di trasformarsi in comizio politico o di allontanarsi da uno degli aspetti fondamentali del teatro, ovvero l’intrattenimento del pubblico. L’uso di luci e ombre nella scenografia, i rumori, le musiche, il modo di rappresentare i generali come figure farsesche e grottesche, l’abbattimento della quarta parete e l’ironia che caratterizza la protagonista, sono tutti elementi che permettono di far divertire gli spettatori non perdendo mai di vista i concetti chiave da trasmettere.
“In ogni vita c’è un acquazzone, che bello quando si riesce a prenderlo con umorismo”: con queste parole San Suu ci spiega come l’umorismo e la bontà siano quelle qualità che le hanno permesso di non soccombere mai di fronte al suo nemico durante gli anni di prigionia, capace di trovare sempre qualcosa di positivo e di cui sorridere, anche laddove sembrano esserci solo brutalità e soprusi. San Suu non ha mai provato odio o disprezzo nei confronti dei suoi carnefici, sentendosi al contrario superiore ad essi, tanto da non dargli la minima importanza. Grazie alla sua tenacia e alla sua forza interiore è riuscita a portare un paese verso la libertà, trasformando uomini schiavi in persone, soggetti portatori di diritti e di doveri, con una propria identità da difendere.