Un borghese piccolo piccolo (1977), l'amaro e intenso capolavoro di Monicelli con uno straordinario Alberto Sordi

Intorno al film

Mario Monicelli e Alberto Sordi, i due maestri per eccellenza della commedia all’italiana, tornano insieme dopo La grande guerra (1959) nel capolavoro Un borghese piccolo piccolo (1977), che per ironia della sorte costituisce, a detta di molti, una sorta di epitaffio funebre della commedia stessa. Un genere che ha sempre avuto la peculiarità di cogliere vizi e virtù della società italiana, specie durante il boom economico, e che adesso si fa specchio dei violenti anni Settanta trasformando il mite Albertone in un implacabile “giustiziere della notte”. Monicelli dirige un film insolitamente drammatico e cattivo, un grandioso affresco sociale a tinte fosche “capace di fotografare un paese ed un’epoca come pochi altri film di quegli anni sono riusciti a fare” (Magni – Giobbio). Periodicamente trasmesso in tv e disponibile in dvd, vincitore di numerosi David di Donatello e Nastri d’Argento, è una pietra miliare del nostro cinema assolutamente da non perdere.

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La vicenda

Roma. Giovanni Vivaldi (Alberto Sordi) è il “borghese piccolo piccolo” del titolo, un modesto impiegato del Ministero prossimo alla pensione che vive a Roma con la moglie Amalia (Shelley Winters) e il figlio Mario (Vincenzo Crocitti), neo-ragioniere. Il suo sogno più grande è regalare un futuro all’adorato figlio, facendolo impiegare nel suo stesso ufficio. Grazie all’iscrizione in una loggia massonica di cui fa parte il suo capo, riesce a ottenere in anticipo la prova scritta per l’esame. Ma il giorno stesso del concorso il ragazzo viene ucciso durante una rapina, e la moglie rimane paralizzata per il trauma. Privo di fiducia nella legge, Vivaldi decide di farsi giustizia da solo, sequestrando l’assassino e sottoponendolo a violenze, fino a ucciderlo.

Narrazione e stile

Un borghese piccolo piccolo, tratto dall’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami, colpisce innanzitutto per la sua evoluzione, da graffiante commedia nella prima parte a crudele dramma nella seconda (cioè dopo l’uccisione del figlio): e, grazie alla maestria di Monicelli e all’istrionico Sordi, il passaggio avviene senza soluzione di continuità, con un racconto che si evolve in maniera naturale, appassiona ed emoziona lungo tutte le due ore. Se la prima parte può essere ascritta alla classica “commedia all’italiana”, la seconda cambia completamente registro e si inserisce parzialmente nel filone poliziesco dei “cittadini che si ribellano”. Un filone molto prolifico all’epoca, sia nel cinema “di genere” (Il cittadino si ribella, L’uomo della strada fa giustizia) che in quello più squisitamente autoriale (Il giocattolo, L’arma e il film in questione). Questo tipo di film è uno specchio degli anni violenti che si vivevano, e Monicelli vi si inserisce in modo assolutamente personale, come solo i grandi maestri sanno fare, dirigendo un’opera intensa e di straordinaria attualità, “Un ritratto impietoso e per nulla assolutorio […] di un cittadino medio(cre)” (Magni – Giobbio).

Il personaggio di Alberto Sordi incarna alla perfezione il concetto di “piccolo borghese” in voga in quegli anni (e che, in un certo senso, viene utilizzato ancora oggi): un umile impiegato dedito al lavoro e alla famiglia, un uomo che investe tutto se stesso per assicurare al figlio un lavoro come il suo – quasi un’ideale continuazione della sua vita (commovente la scena in cui Sordi porta con sé in ufficio il ragazzo guardandolo pieno di ammirazione e orgoglio). Giovanni Vivaldi è un personaggio “grigio”, con vizi e virtù, quasi una summa dei personaggi della commedia all’italiana e delle situazioni che vivono: il rapporto con la moglie, non sempre pacifico, l’atteggiamento snob verso i suoi colleghi, l’ingenuità che gli fa credere di essere importante nel suo ufficio senza rendersi conto che è solo un subalterno.

C’è poi tutta una critica pungente alle raccomandazioni e al clientelismo, tipici difetti della società italiana. Vedasi, quindi, l’ampio spazio dedicato all’atteggiamento servile di Vivaldi nei confronti del suo capo, il dottor Spaziani (Romolo Valli). La rappresentazione della vita in ufficio ha un gusto vagamente “fantozziano” (nell’accezione positiva del termine), cioè esagera i caratteri sfociando talvolta in un gradevole e voluto stile grottesco (la corsa per arrivare in tempo al lavoro, gli impiegati sempre nascosti dietro pile di scartoffie sulle scrivanie). Uno stile agrodolce, un umorismo amaro che caratterizza un po’ tutta la prima parte del film: notevole la lunga sequenza dell’adesione di Sordi alla loggia massonica (un’altra freccia lanciata coraggiosamente da Monicelli), i battibecchi con la moglie, la scena in cui Albertone si chiude in bagno chiedendo perdono a Dio per la sua futura adesione alla massoneria.

Il protagonista nutre una fiducia totale nel lavoro e nello Stato, esemplificata nella scena in cui dice al figlio di aprire un conto corrente in posta e non in banca, perché le poste sono dello Stato e “lo Stato non fallisce mai”. Una fiducia che però viene meno quando è colpito negli affetti personali: dopo la morte del figlio, vede crollare tutto ciò in cui aveva creduto, e non si fida più della legge. Il film cambia tono, diventando incredibilmente duro, disperato e cattivo. Con una magistrale e graduale trasformazione, Sordi passa dal grigio impiegato allo spietato giustiziere, che mette in atto una vendetta preparata in modo “scientifico”: segue l’assassino (Renzo Carboni), lo aspetta fuori casa, lo tramortisce col crick dell’auto e lo sequestra nella sua baracca per la pesca. E lo fa con una naturalezza e un orgoglio che lascia spiazzati: assiste la moglie inferma, continua a lavorare in ufficio, poi ogni giorno torna nella baracca e prosegue la sua vendetta – torna a colpirlo alla testa col crick, lo lega mani, piedi e collo col filo di ferro e assiste alla sua agonia, mentre sbriga pratiche dell’ufficio e mangia pasticcini – fino a vederlo morire.

Indimenticabile l’amarissimo finale, in cui vediamo Sordi (ormai folle e incattivito) seguire in macchina con aria minacciosa un ragazzo che l’ha insultato: il film termina così, lasciando intendere che la sua vendetta contro la società non è ancora finita. È il tramonto degli anni d’oro del Belpaese, che Monicelli dipinge magistralmente con questo capolavoro di straordinario impatto emotivo.

La colonna sonora

La bellissima colonna sonora di Giancarlo Chiaramello è composta, fondamentalmente, da due “tronchi”. La melodia lenta e malinconica, con gli archi che vibrano in maniera sinuosa, accompagna i momenti più commoventi della vicenda, rappresentando tutto l’amore di Vivaldi per il figlio e il dolore per la sua morte. Un tema sincopato e ricco di percussioni (in stile quasi “poliziesco”, potremmo dire) sottolinea invece i momenti più “cattivi” del film, per esempio la scena in cui Sordi inizia a pedinare l’assassino oppure la minacciosa sequenza finale.

Davide Comotti

Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.

Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente.
Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.
Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Esordisce nella scrittura su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com). Attualmente, scrive sulla rivista cartacea “Bergamo Up” e sulle riviste online lascatoladelleidee.itciaocinema.itmondospettacolo.comhorror.it, malastranavhs.wordpress.com e nonsologore.it . Ha redatto inoltre alcuni articoli per il sito della rivista “Nocturno Cinema” (nocturno.it).

Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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