Bellezza, religione, alchimia: Parmigianino, un artista rinascimentale.

Spesso si reputano i quadri a soggetto religioso come appartenenti a un mondo ormai troppo lontano da noi, o addirittura opere noiose e sempre uguali. Le grandi pale che decorano le chiese sono il risultato di anni e anni di committenze, e rappresentano quindi una testimonianza importantissima della storia dell’arte.
Tra le numerosissime opere religiose realizzate nel panorama rinascimentale italiano, alcune spiccano per originalità e importanza, e anche per qualche particolare che le rende non così immediate e nemmeno cosi scontate. Tra queste, prendiamo in esame un’opera la cui realizzazione inizia nel 1534 e prosegue fino alla morte dell’artista, nel 1540. Si tratta della Madonna dal collo lungo, o più tradizionalmente Madonna con il bambino, angeli e un profeta.

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La figura monumentale della Vergine occupa quasi l’intero spazio del dipinto, che misura 219×135 cm. Anche Il bambino che tiene in grembo è altrettanto monumentale e potremmo dire quasi possente. Cinque figure sono poste alla destra dei due personaggi principali, e si tratta di angeli che osservano la scena. In basso a sinistra della Madonna invece troviamo una figura piccola, probabilmente S. Gerolamo, e accanto un piede, evidentemente segno di un’ulteriore figura non finita (si è ipotizzato che si possa trattare di S. Francesco).
L’artista autore dell’opera è Francesco Mazzola, meglio conosciuto come il Parmigianino, che nacque a Parma nel 1503, e venne avviato alla carriera di pittore già da piccolissimo. Fu molto elogiato dai contemporanei, venne paragonato addirittura a Raffaello, morto nel 1520 (colui da cui “Madre Natura temette di essere vinta e quando morì, temette di morire con lui.”); Vasari, il biografo degli artisti rinascimentali, ricorda che egli “aveva il volto e l’aspetto grazioso molto, e più tosto d’angelo, che d’uomo”.

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Insomma, Francesco Mazzola era bello, bravo, educato nei modi e ben voluto. Che cosa c’è quindi di cosi interessante in quest’artista, e nell’opera che stiamo analizzando? È sempre il Vasari a raccontarcelo: Parmigianino si trasformò infatti, secondo le sue parole ”in un altro da quello che era stato, con la barba e chioma lunghe e malconce, quasi un uomo selvatico.” Che cosa turbò così profondamente Francesco Mazzola, tanto da mutarne addirittura l’aspetto fisico? A quanto ci racconta sempre Vasari, Parmigianino si dedicò profondamente allo studio dell’alchimia, e fu questa a portarlo alla rovina, addirittura alla morte.
La pratica dell’alchimia era molto diffusa nel ‘500, ma non dobbiamo immaginarci laboratori pieni di provette e miscugli misteriosi e fumanti: più che il tentativo di tramutare in oro il mercurio, in pittura l’alchimia si traduceva nel tentativo di rappresentare la bellezza assoluta come riflesso e simbolo divino, in una prospettiva di elevazione morale dello spirito. I minerali utilizzati in pittura venivano depurati attraverso un procedimento chimico (e qui entra in gioco si il laboratorio), in modo da avvicinarli il più possibile alla quintessenza della materia, in sintonia con il tentativo dell’essere umano di “depurarsi” per raggiungere Dio dopo la morte. La bellezza cosi tanto anelata non era tanto quella materiale, quanto più una bellezza densa di comunicativa, per cui nuovi rapporti e nuove proporzioni divennero il tramite per trasmettere significati intellettuali nelle opere degli artisti del tempo. Capiamo allora che il modo in cui Parmigianino ha impostato il quadro non ha uno scopo puramente estetico o tecnico, ma simbolico.

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Il collo lungo della Madonna è messo in relazione alla colonna senza capitello posto alla sua sinistra, seguendo il verso del Cantico dei Cantici :”il tuo collo come una torre d’avorio”; gli stessi angeli paiono troppo terreni e forse angeli non sono. Tutta l’opera è impostata sulla continuità della linea curva, che trova il suo apice nel perfetto ovale dell’anfora. Anche lo scambio di sguardi della scena riveste un ruolo fondamentale nella composizione: la Madonna e un putto rivolgono lo sguardo verso il corpo disteso di Gesù, un volto femminile guarda verso l’osservatore mentre un altro guarda verso l’esterno.

particolare sguardi

La scena che il Parmigianino vuole ricreare e far tornare alla mente all’osservatore è quella della deposizione del Cristo morto: infatti la figura della Vergine e del bambino hanno la stessa impostazione canonica di questa tipologia di rappresentazione, cosi che il quadro viene ad assumere un doppio significato, la contemplazione del bambino da parte di un gruppo di offerenti e la deposizione del cristo dalla croce.

Ci troviamo di fronte ad una composizione carica di significati che ad un primo sguardo distratto, forse, non verrebbero colti. Francesco Mazzola morì giovane, all’età di 37 anni, lasciando questo quadro incompiuto, rendendo quindi ancora più misterioso ciò che già era stato volutamente concepito come tale. Volle essere sepolto in una chiesa lontana un miglio da Casalmaggiore, in aperta campagna, nudo e con una croce di cipresso sul petto.

L’opera si trova a Firenze, al Museo degli Uffizi, dove potete ammirare anche altre opere dello stesso artista.

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