Pollock e la pittura d'azione

Jackson Pollock, figlio di agricoltori, nacque nel 1912 nel Wyoming. Trascorse la sua adolescenza diviso fra due stati: Arizona e California, dove studiò alla Riverside Hight School, da cui fu espulso, e successivamente alla Manual Arts Hight School, mostrando sin da subito quel carattere turbolento e indisciplinato che si manifestò nella sua arte, e che lo portò ad una morta prematura nel 1956, a seguito di un incidente stradale per guida in stato di ebrezza. Agli inizi della sua carriera si avvicinò al cubismo, sopratutto a Picasso, e a soli trentunanni nel 1943 Peggy Guggenheim allestì la sua prima mostra personale, riscuotendo un notevole successo di critica. Nel 1945 sposò Lee Kasner, nota pittrice americana, con cui si trasferì a Springs, dove sperimentò e perfezionò quella tecnica innovativa, a cui diede il via sulla scia dei cambimenti in atto in quegli anni in America: l’Action Painting, un termine coniato nel 1952 dal critico americano Harold Rosenberg.

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Per Action Painting, in italiano “pittura d’azione”, si definisce quella corrente che sconvolse completamente il concetto stesso di pittura e sopratutto di “pittura da cavalletto”.

Questo modo di vedere la pittura non mette al centro l’oggetto artistico, il quadro finale, ma l’atto stesso del dipingere. La pittura, viene vissuta come esperienza liberatoria, coinvolgendo anima e corpo; la tela stessa diventa un’arena in cui l’artista si esprime attraverso gesti e segni pittorici liberi e impetuosi, che diventano diretta testimonianza dei suoi movimenti. Perchè, cosa importante, la tela non sta sul cavalletto, ma è a terra. Viene cambiato il rapporto tra l’artista e il quadro che sta realizzando, non più un confronto frontale, distanziato, ma diretto e coinvolgente; nella tela non ci sono centro, prospettiva, sotto e sopra, è uno spazio a tutto campo su cui muoversi liberamente.
“Quando sono dentro al mio quadro, io non mi rendo conto di quello che faccio. Solo dopo un periodo di familiarizzazione riesco a vedere che cosa ho fatto. Non ho paura di fare cambiamenti ne di distruggere l’immagine: infatti il quadro ha una sua propria vita e io cerco di farla venir fuori. Solo quando perdo il contatto con il quadro il risultato diventa un pasticcio.”(1). Con queste parole Pollock descrisse il suo atto creativo. Muovendosi quasi danzando attorno alla tela, entrava direttamente nel quadro e lasciava emergere la parte più irrazionale ed inconscia della sua mente.
Gli strumenti utilizzati non sono quelli normalmente associati alla pittura, la tavolozza e il pennello. Pollock sperimentando la tecnica del dripping, che letteralmente significa “gocciolare”, e usando i colori legati alla gamma dello smalto industriale li faceva gocciolare sulla tela utilizzando vari oggetti: pennelli, bastoni, coltelli, cazzuole, e barattoli di vernice a cui applicò dei fori da cui far colare il colore, ottenendo come risultato un quadro lontanissimo dal figurativo, in cui si riconoscono rappresentazioni con una logica narrativa che hanno un senso. La tela, solitamente di grandi dimensioni, diventa testimonianza del gesto grazie alla fitta rete di grovigli, filamenti, macchie e residui di colore lasciati dai movimenti danzanti di Pollock.

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Con l’Action painting si rinuncia alla rappresentazione, ma si guadagna in libertà. L’artista si muove all’interno dei confini dell’astrattismo, ma non valendo le tradizionali convenzioni della pittura, anche le regole per la lettura del quadro non hanno valore perchè la tela non ha un centro, non ha forma, non ha punti focali ma tutto in esso diventa importante e centrale. È un tipo di raffigurazione diversa da quella convenzionale, e i quadri esulano completamente dalla tradizione, tant’è che spesso chi si trova davanti queste tele ci vede solo pasticci e scarabocchi, e c’è chi ritiene addirittura che annoverare certi dipinti come opere d’arte sia quasi blasfemo. Anche l’opinione della critica a riguardo è sempre stata discordante: da una parte c’è chi ritiene la tecnica di Pollock una svolta fondamentale, un nuovo modo di intendere l’opera d’arte in cui diventa di importanza centrale l’atto stesso del dipingere; dall’altra, chi invece ritiene che questi quadri siano privi di senso, semplici miscugli di colore senza un preciso intento.
Curioso è vedere la reazione dei bambini di fronte a queste opere. Privo di influenze o condizionamenti, il bambino sembra vi sappia riconoscere una vera innovazione, forse anche perché si tratta di un tipo di pittura che, eliminando tutte le regole, si avvicina molto al mondo dell’infanzia. Pensando ai primi approcci dei bambini al disegno, ci si imbatte in composizioni non strutturate e logiche, senza un intento preciso, in cui non c’è alto e basso, destra e sinistra, ma il tutto. “L’opera” si riduce ad una serie di linee e segni lasciati sul foglio.

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Molto spesso proprio la tecnica del dripping viene utilizzata in lavori struttuati per le esigenze dei più piccoli. Avvicinandosi a queste tele e a questa tecnica pittorica il bambino si trova di fronte ad una rappresentazione in cui non riconosce una figura precisa ma entra in contatto direttamente con la gestualità del pittore. Il modo stesso in cui si realizza un quadro con il dripping presuppone un atteggiamento non impostato e serioso, ma divertente e creativo.

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Se aveste voglia di cimentarvi in questa tecnica senza rischiare di spargere tempera ovunque (perché questo è il vero rischio del dripping!) provate a dare un occhiata al sito jacksonpollock.org. Anche i piu restii potrebbero ricredersi e lasciarsi andare per qualche minuto realizzando questi strani “scarabocchi”.
Buon divertimento!

Segnaliamo inoltre la mostra a Milano dedicata sia ai lavori di Pollock che ai suoi contemporanei:
“Pollock e gli irascibili” Milano, Palazzo Reale – dal 24 settembre 2013 al 16 febbraio 2014

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