OCCHI SELVAGGI: IL CINEMA DI GASPAR NOE’

Non è mai semplice descrivere e analizzare la poetica di un autore, e diventa impresa ardua se il regista è un visionario, anarchico e “folle” come Gaspar Noè: l’argentino trapiantato in Francia è fra i più audaci, controversi e sperimentali registi degli ultimi anni, le cui opere – fra lungometraggi, corti e medi – formano un corpus visivo e (anti)narrativo assolutamente d’avanguardia, con tematiche ed elementi stilistici ricorrenti ma allo stesso tempo in continuo mutamento. Un autore sicuramente difficile da approcciare e comprendere, ma che ha il merito di far discutere, provocare il pubblico e la critica, scandalizzare, e i cui film riescono ad attirare l’attenzione anche degli spettatori novelli grazie ai toni forti, alla narrazione magnetica e a uno stile multiforme e imprevedibile. È un cinema inquieto e magmatico quello di Noè, profondamente carnale, sessuale e sanguinario, che però sta lontano dal “genere” d’exploitation per abbracciare un discorso filosofico/esistenziale/psicologico sull’uomo, il sesso, la violenza, il senso della vita, dunque un cinema autoriale nel senso più genuino del termine. Approcciarsi al suo cinema vuol dire intraprendere un viaggio infernale in un mondo estremo, concreto eppure surreale e grottesco, un mondo in cui gli aspetti più crudi della realtà sono filtrati da uno sguardo deformante (come vedremo, anche dal punto di vista tecnico): sodomiti, macellai incestuosi, uomini che odiano il mondo, erotismo morboso, stupri, vendette, violenza esasperata, sangue, omosessualità maschile e femminile, scene hard, riti magici, visioni extracorporee e psichedeliche, persino – nel nuovo e discusso Love (2015) – eiaculazioni in 3D.

lovebis

Gaspar Noè, prima ancora che un regista, è un esperto cinefilo, le cui visioni si sono sedimentate negli anni contribuendo a creare la base delle sue opere, che spesso sono ispirate a capolavori del passato reinterpretati dal suo sguardo. Fra i suoi film di culto si annoverano Arancia meccanica di Kubrick e Taxi driver di Scorsese, dai quali eredita la violenza, la rabbia verso il mondo, la solitudine, la rappresentazione “in acido” della realtà – Taxi driver è citato esplicitamente in Seul contre tous quando il protagonista si guarda allo specchio con la pistola in mano. Un altro film, meno conosciuto ma significativo, che ha ispirato Noè (per sua stessa ammissione) è un crudelissimo thriller tedesco, Angst (1983) di Gerard Kargl, incentrato su un assassino psicopatico che sfoga il proprio sadismo in una famiglia tenuta prigioniera. Sicuramente la follia e la violenza sono elementi onnipresenti nei suoi film, a volta in maniera più esplicita altre volte più sottesa, ma sempre pronta a esplodere: il caso più estremo è Irréversible, autentico rape & revenge d’autore, che presenta due scene di brutalità realistica. ai limiti del tollerabile – lo stupro e il pestaggio della Bellucci e la vendetta sul colpevole, ucciso a colpi d’estintore in faccia. Ma non solo dai film nascono le sue pellicole, bensì anche da esperienze personali – è il caso di Enter the void, le cui visioni allucinogene sono ispirate all’uso di droghe che il regista ammette di aver fatto, oltre che da un certo tipo di cinema d’avanguardia e psichedelico molto amato dal regista.

Noè è un cineasta a 360 gradi: non solo regista, ma anche sceneggiatore, montatore, produttore e direttore della fotografia, il che è sinonimo di artista e “creatore” allo stato puro, avendo sotto controllo quasi tutto l’aspetto estetico e tecnico dei suoi film. Da sottolineare anche il frequente ruolo di produttore: Noè si è fatto le ossa sul campo, nasce in un modo che noi italiani definiremmo indipendente, cioè underground, lontano dai circuiti mainstream e dalle grandi produzioni, con prodotti autofinanziati. E, come spesso accade in questi casi, i primi lavori sono cortometraggi – che consentono costi più contenuti – magari anche un po’ grezzi, ma che contengono in nuce gli aspetti caratterizzanti della sua poetica: pensiamo all’hard Sodomites (1998), con una messa in scena gotico-orrorifica e un montaggio frenetico al limite dell’immagine stroboscopica. Si muove quindi nell’immenso mare del cinema facendosi conoscere in vari festival – il mediometraggio Carne (1991) ottiene due premi a Cannes – per poi debuttare nel lungometraggio con Seul contre tous (1998). La sua fama tra il pubblico e i cinefili aumenta sempre più, fino a esplodere con quello che è il suo film più famoso, Irréversible (2002) – capiamo di trovarci a un livello produttivo superiore già vedendo che i protagonisti sono Vincent Cassel e Monica Bellucci. Ma, a differenza di altri colleghi, Noè non cede alla facile tentazione della celebrità e dell’uniformazione ai canoni vigenti, preferendo rimanere un autore “scomodo”: magari fa pochi film, ma quei pochi li mette in scena come vuole lui, sono le sue creazioni artistiche e non scendono a compromessi col mercato e col pubblico. Per realizzare il suo film più costoso, Enter the void (2009), un progetto che coltivava da anni, deve attendere il successo (anche economico) di Irréversible, ma finalmente riesce a coronare il suo sogno, dirigendo questa vicenda fantastica e allucinogena grazie a una grossa produzione che gli consente di utilizzare incredibili effetti speciali e visivi. Nel frattempo, continua a dirigere cortometraggi ed episodi di film collettivi, per esempio Destricted (2006) con We fuck alone, e 7 days in Havana (2012) con Ritual, un’incursione nei riti pagani di una Cuba misteriosa, mantenendo sempre il suo tocco inconfondibile.

Nel corpus cinematografico di Noè troviamo un personaggio ricorrente, il macellaio senza nome interpretato da Philippe Nahon: fa la sua prima apparizione in Carne, che lo delinea nei suoi tratti essenziali (pulsioni incestuose, nichilismo, odio e vendetta), poi torna in Seul contre tous, che di fatto è un sequel del precedente con tanto di riassunto iniziale in cui viene esasperato ciò che si è visto nel mediometraggio; infine, è presente nella prima sequenza di Irréversible, quando racconta a un amico – forse legato da un rapporto omosessuale – di essere stato in carcere per aver fatto sesso con la figlia. Il macellaio anonimo è un po’ il simbolo della poetica di Noè, in quanto ne racchiude alcuni fra gli aspetti fondamentali: il desiderio sessuale deviato, la carne (per la sua professione, ma di riflesso anche una metafora della “carne” umana), sentimenti di distruzione e autodistruzione, indifferenza verso la vita, voglia di vendetta e rivincita verso il mondo – in Seul contre tous si muove con una pistola addosso pensando ai bersagli da colpire ma senza mai compiere l’atto desiderato (un po’ Attendant Godot, un po’ Nouvelle Vague) – impotenza esistenziale, disperazione, desiderio di sopraffazione sulla donna.

Lo stile di Noè è inconfondibile, caratterizzato da alcuni tratti permanenti: la fotografia con la prevalenza dei toni rossastri, più o meno saturi ma sempre oscillanti fra il rosso e l’arancione – colori forti, i colori del sangue, del sesso, della carne; i lunghi dialoghi e monologhi, spesso pronunciati “a mitraglia” con un effetto persino ansiogeno; il montaggio anarchico e frenetico, dunque con un numero elevatissimo di inquadrature che si susseguono senza dar tregua allo spettatore (pensiamo a Sodomites e ad alcune sequenze di Irréversible), alternato a lunghi piani-sequenza: memorabile la camminata di Nahon in Seul contre tous, oppure gli sbalorditivi movimenti della steady-cam nella prima parte di Irréversible, con un effetto “mal di mare” sempre più accentuato, quasi a voler frastornare lo spettatore. Lo sperimentalismo di Noè si vede anche in certi espedienti meta-cinematografici – uno su tutti, il cartello in Seul contre tous che a un certo punto invita gli spettatori a uscire dalla sala entro 30 secondi – oppure in strutture insolite come quella di Irréversible, in cui tutta la storia è narrata a ritroso. Il ricorrente spleen baudelairiano è spesso filtrato da atmosfere surreali e personaggi grotteschi, che variano dalla desolazione della provincia (Carne e il suo sequel) alla Parigi oscura e underground di Irréversible, dalla Tokyo psichedelica di Enter the void alla Cuba misteriosa e sensuale di Ritual; l’incipit di Carne ha un qualcosa persino di cavalloniano (da Alberto Cavallone) e da mondo-movie, con le immagini del mattatoio e del sangue che scorre.

Il surrealismo visionario di Noè non è immutabile, e anche qui si vede la genialità dell’autore: per esempio, in Enter the void vediamo qualcosa di un po’ diverso, comunque riconducibile all’universo del regista dal punto di vista sia tematico sia stilistico (tornano i volteggianti movimenti di macchina, per esempio). Cambia l’ambientazione, dalla Francia a Tokyo, e vediamo lo spirito di un ragazzo ucciso volteggiare attraverso le strade e i locali, in un’esplorazione extra-corporea: è il primo approdo di Noè nel fantastico puro, un delirio visivo e allucinatorio che ricorda a tratti gli Stati di allucinazione di Ken Russell, grazie ai mirabolanti effetti visivi. I trip mentali, un caleidoscopio di luci, forme e colori, derivano da un altro genere molto apprezzato dall’autore, cioè il cinema sperimentale psichedelico, che accresce ulteriormente la deformazione della realtà che avevamo visto finora. Costantemente provocatore, Gaspar Noè ha diretto poi quello che è forse il suo film più audace, Love: il sesso, una costante della sua filmografia, qui diventa pornografia, o meglio arte pornografica (genere già sperimentato in Sodomites e in una sequenza di “film nel film” in Seul contre tous), riprendendo il “rapporto a tre” che già era alla base di Irréversible e la destrutturazione della narrazione temporale classica. Presentato a Cannes, utilizza anche la tecnica 3D per rappresentare l’eiaculazione, che sembra arrivare addosso allo spettatore quasi volesse “sporcarlo”: è l’evoluzione estrema e necessaria di un cinema che ha sempre sfidato lo spettatore, buttandogli in faccia la “sporca realtà” senza filtri né mediazioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *