Nuit Americhèn (2013), una corrosiva commedia horror di Federico Greco.

Intorno al film

Federico Greco è una figura di spessore nel panorama cinematografico italiano di oggi. Coraggioso regista indipendente apprezzato anche all’estero, si destreggia con abilità in vari generi: il documentario (Stanley and us, sul cinema di Stanley Kubrick), il mockumentary (l’inquietante Road to L., la sua opera più famosa – co-diretta con Roberto Leggio) e la fiction pura. Numerosi i corti da lui diretti, quasi sempre in ambito horror/thriller: ricordiamo soprattutto Liver, E.N.D. (diretto insieme a Luca Alessandro e Allegra Bernardoni) e il nuovissimo Nuit Americhèn (2013). Curioso fin dal titolo, si tratta di un cortometraggio (24 minuti) di genere horror-comedy e meta-cinematografico, dove il brivido e l’umorismo si coniugano a meraviglia e sono funzionali a un’impietosa rappresentazione del cinema odierno (indipendente e non). È stato presentato in anteprima assoluta al Courmayeur Noir InFestival 2013 nella sezione “Eventi”.

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La vicenda

Paolo (Gianmarco Tognazzi) è un regista indipendente incaricato da un produttore di girare uno spot pubblicitario in una villa abbandonata. In realtà, Paolo vuole approfittare della location per girare una scena importante del suo horror low-budget in lingua inglese: porta quindi con sé due attori, Diana (Regina Orioli) e Fausto, spacciandoli per tecnici. Paolo – per nascondere la sua incapacità di regista – vuole mettere gli attori in situazioni di estremo realismo e lasciarli recitare come vogliono (in modo da rendere il più possibile naturale la loro recitazione, dice lui). Non ha fatto però i conti con la reale presenza nella villa di un assassino vestito da clown, che inizia a uccidere i presenti in un crescendo di delirio dove realtà e finzione si fondono e si confondono.

Narrazione e stile

È incredibile come in soli 24 minuti Federico Greco riesca a concentrare un universo narrativo e meta-narrativo così vasto e unico nel suo genere, con una raffinata confezione estetica. Il titolo, scritto in modo volutamente sgrammaticato, omaggia La nuit américaine (1973) di François Truffaut, celebre capolavoro meglio noto come Effetto notte. Il cortometraggio di Greco ne richiama in maniera ironica l’aspetto meta-cinematografico: non è infatti solo un horror-comedy, ma anche e soprattutto un sottile e graffiante discorso intorno al cinema, in cui si sovrappongono vari piani narrativi che spiazzano gli spettatori innestando una sorta di “corto circuito” fra realtà e finzione. Nuit americhèn è incentrato infatti sulla realizzazione di un film, dunque vedremo un film nel film: Paolo, spocchioso regista indipendente, vuole realizzare un horror (presumibilmente “trash”) incentrato sulla vicenda di un clown mannaro già ucciso e poi tornato in vita (“Luna piena, succede”, commenta sarcastico l’attore prima di entrare in scena). Con un imprevisto, però: nella casa si aggira davvero un clown assassino (forse liberato dalla cantina?) che farà scempio dei presenti.

La storia (scritta dallo stesso Greco insieme a Igor Maltagliati) è godibilissima, a dimostrazione di come si può fare cinema intelligente e autoriale divertendo al contempo lo spettatore. Ci sono tutti gli elementi delle classiche storie horror: la villa abbandonata, la cantina segreta, il serial killer (per di più vestito da clown, una figura che da It in poi è diventata una delle più spaventose), una ragazza in fuga. Ci sono ottimi effetti speciali (a cura di Roberto Papi), fra colpi di pugnale e teste mozzate – sempre con abbondanza di sangue – in alternanza a gustosi siparietti ironici fra i membri della troupe. Ma si capisce che non è un semplice horror, perché la “magia” del cinema viene svelata fin da subito: i protagonisti esibiscono infatti una testa di gomma, una bottiglia di sangue finto e un coltello dalla punta retrattile. Come si diceva, realtà e finzione si (con)fondono continuamente, a tal punto che Diana è convinta fino alla fine di recitare la parte come stabilito, sfuggendo agli assalti del clown. E con lei, anche lo spettatore. A dire il vero, il dubbio sorge spontaneo quando vediamo il primo omicidio: la testa tagliata sarà quella di gomma esibita all’inizio o si sta compiendo un “vero” omicidio? Questo è proprio il valore aggiunto di Nuit americhèn, la continua sovrapposizione fra i diversi piani narrativi: il meta-cinema diventa cinema. E, come nel thriller Blow Out (1981) di Brian De Palma – nel cui finale John Travolta utilizza come effetto sonoro del suo film il vero urlo di una ragazza uccisa, anche qui la finzione finisce per essere sostituita dalla tragica realtà.

Ma Nuit Americhèn non è solo questo. Come spiega Greco, “Il film si diverte a prendere in giro chi ama realizzare, con eccessivo dilettantismo citazionista, film horror-splatter-thriller-torture alla Tarantino, alla Roth o alla Rodriguez. In Nuit Americhèn ci sono quindi citazioni a secchiate, commistioni tra generi, dialoghi in inglese maccheronico, teste mozzate e una sexy scream-queen”. Greco realizza infatti un mirabile “j’accuse” al sistema produttivo italiano (il regista e il produttore tirchio che cercano di fregarsi a vicenda), ma anche a una certa parte del cinema indipendente, costituita appunto da quei registi che si credono veri autori ma si limitano a ripetere stereotipi visti e rivisti. Paolo (un grande Gianmarco Tognazzi – attore che non necessita di presentazioni) rappresenta a meraviglia tutte queste categorie: presuntuoso, incapace, arrogante con gli attori, citazionista oltremisura (“Sangue e sesso non vanno mai separati, Rodriguez e Tarantino insegnano” – “I registi da cui copia tutto, che a loro volta hanno copiato tutto dagli italiani”). Regina Orioli (L’ultimo bacio), bellissima e bravissima sia nelle parti serie che nel ruolo di scream-queen, e Fausto Sciarappa sono insoddisfatti per come sono trattati da Paolo – che nasconde la sua incapacità lasciando gli attori liberi di recitare come vogliono, e rappresentano le frustrazioni dell’attore italiano medio. Greco, a sua volta, si diverte a mettere in scena citazioni ironiche: il film “con gli amici americani che si perdono nel bosco” di cui parla la Orioli (chiaro riferimento ai torture-porn che tanto vanno di moda oggi), le telecamere che riprendono l’attrice mentre sfugge al clown (trasformando il film in una sorta di mockumentary), Hitchcock (con tanto di archi stridenti alla Psycho), ancora la Orioli che lotta come Uma Thurman in Kill Bill, e altro ancora. Curiosa, infine, la scena in cui Regina sta per citare i pochi registi validi che ci sono oggi in Italia ma viene interrotta dal collega: chissà quali nomi Greco avrebbe voluto dire?

La colonna sonora

Le musiche originali sono affidate ad Angelo Talocci, compositore molto attivo sia nel cinema che in televisione, il quale realizza un memorabile tema principale. Lo sentiamo distintamente sui titoli di testa e di coda: un’armonia ritmata e martellante, con poderosi vocalizzi maschili evocanti un’atmosfera arcana. Insomma, una musica squisitamente da film horror. Notevoli anche i temi sincopati e lo stridente tappeto sonoro che accompagnano soprattutto le scene con protagonista il clown e Regina Orioli, e che sono funzionali alla costruzione della suspense. Dunque, se durante il film c’è spazio anche per l’ironia, la musica è invece da puro thriller, a parte qualche suono più “leggero” nell’ultima scena.

Davide Comotti
Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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