L'esordio di Zarantonello: The Butterfly room (2013).

Zarantonello debutta nel cinema mainstream con il crudo ed eccezionale thriller The butterfly room (2013)

Intorno al film

È un percorso incredibile quello di Gionata Zarantonello, regista indipendente vicentino: esordisce nel lungometraggio con due film di basso livello – Medley, horror-comedy amatoriale, e poi l’assurdo Uncut (a cui lasciamo al lettore il piacere di scoprire l’argomento) – che non lasciano ben sperare per la sua carriera. Ma nel 2012 arriva la svolta, la sorpresa, il film che non ti aspetteresti: trasferitosi a Los Angeles e sostenuto da una coproduzione fra Italia e Stati Uniti, dirige The butterfly room – La stanza delle farfalle (da noi uscito in sala nel 2013), un crudo thriller psicologico incredibilmente perfetto e appassionante. Zarantonello – che per l’occasione si firma col nome Jonathan – dimostra quindi di avere talento da vendere, riuscendo a raggiungere una vasta fetta di pubblico.

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La vicenda

Nell’elegante condominio di una città americana vive Ann (Barbara Steele), una distinta signora di mezza età con l’hobby di imbalsamare e collezionare farfalle in una stanza. Accanto a lei abitano una madre single con la figlia Ann e la piccola Julie, entrambe affette da solitudine, che iniziano a frequentarla. Ma qualcosa di oscuro grava sul passato della donna: già tempo prima era solita ospitare in casa una ragazzina, Alice, ora scomparsa nel nulla. Nel frattempo, Julie afferma di aver visto nella “stanza delle farfalle” una bambina, ma nessuno vuole crederle: tranne Dorothy (Heather Lagenkamp), la figlia di Ann, che conosce la personalità crudele della madre e cerca di far luce sul mistero.

Narrazione e stile

Partendo dal suo racconto Alice dalle 4 alle 5 (da cui aveva tratto in precedenza anche un cortometraggio), Zarantonello scrive e dirige un thriller complesso, costruito come un puzzle, con una continua alternanza fra narrazione al presente e flashback. Una solida sceneggiatura che all’inizio lascia spiazzato lo spettatore, fra indizi disseminati qua e là, contorsioni temporali ed enigmi che sembrano irrisolvibili: ma ogni frammento, man mano, si compone disegnando un mosaico perfetto che alla fine si rivela completo e senza buchi, rivelando il complesso lavoro di copione e regia che sta dietro al film.

La vicenda sembra costruita su misura per la protagonista, uno dei punti forti dell’opera: Barbara Steele. Un nome che fa venire l’acquolina in bocca a tutti coloro che amano il cinema del brivido. Non un’omonima, proprio lei: la bellissima attrice britannica, la dark lady per eccellenza, la regina dell’horror gotico anni Sessanta (La maschera del demonio, Danza macabra, Il pozzo e il pendolo e molti altri). Con il suo fascino morboso e “vampiresco” (che non ha perso nulla nel corso degli anni), è la donna perfetta per interpretare il ruolo di madre psicopatica, quasi una trasposizione moderna dei personaggi mefistofelici che incarnava nei gloriosi sixties. Zarantonello, con The butterfly room, realizza anche un omaggio al genere horror, per la presenza non solo della Steele, ma anche di una serie di attrici e attori che hanno vissuto momenti di celebrità proprio grazie a questo genere: troviamo quindi le scream-queen Heather Lagenkamp (Nightmare) e Adrienne King (Venerdì 13), la Camille Keaton di Non violentate Jennifer e Ray Wise, protagonista del telefilm Twin Peaks e del rispettivo film Fuoco cammina con me.

Tutti questi personaggi si muovono in un contesto morboso e psicopatologico: Alice è una ragazzina perversa che “si prostituisce” metaforicamente offrendo la propria compagnia a donne senza figli, e nel frattempo procura i clienti alla madre, prostituta senza una gamba che si vende a uomini in cerca di corpi incompleti; Ann è una donna dalla psiche instabile – già responsabile di sevizie nei confronti della figlia – con una violenza latente sempre pronta a esplodere. Naturale che, facendo incontrare/scontrare due personalità come Alice ed Ann, scaturisca qualcosa: una crudeltà psicologica e fisica che rischierà di mettere a repentaglio anche la vita dell’innocente Julie. The butterfly room è un thriller costruito su meccanismi psicanalitici, fra maternità distorte, traumi infantili e bisogno compulsivo d’affetto. Lo stesso hobby della tassidermia, con tanto di dettagli macabri, ha un che di crudele e psicologico: rappresenta la volontà di mantenere per sempre un individuo nella sua natura attuale. Ed è quello che accadrà anche alla sventurata Alice, che in una delle sequenze più belle e perturbanti del film vediamo inchiodata al muro come una bambola (o una farfalla), morta e imbalsamata nella sua bellezza. Una serie di tematiche, compresa la stanza segreta, che sembrano riprese dal genere gotico e trasposte in un thriller contemporaneo, costruendo un’ottima atmosfera a metà fra il clima americano (location e personaggi) e quello italiano (i topos rivisitati). Nel film ci sono poche immagini squisitamente orrorifiche (il cadavere decomposto in fondo all’ascensore e il volto deturpato dell’operaio), ma numerose scene di violenza disturbanti, come la donna gettata nella tromba del medesimo, l’omicidio della Keaton nei bagni e la madre di Julie annegata nella vasca.

Se la narrazione è appassionante e tiene inchiodato lo spettatore per tutta la durata del film, altrettanto curata è l’estetica, grazie alla fotografia di Andrew Strahorn e alle inquadrature: notevoli i luminosi esterni – fra grattacieli, strade e campi lunghi sulla città – in contrasto con gli interni cupi, dove spicca proprio la stanza delle farfalle, con i suoi segreti nascosti dai giochi di luci e ombre e dalle prospettive visive che si allargano man mano fino a svelare il mistero.

The butterfly room rappresenta dunque la maturità estetica e narrativa di Zarantonello: non si direbbe davvero che il regista di questo eccellente thriller sia lo stesso di Medley. Questo, lungi dall’essere una critica, è la prova di come in Italia ci siano tanti giovani talenti da coltivare: il che fa ben sperare per il futuro.

La colonna sonora

La colonna sonora di The butterfly room è realizzata da Pivio e Aldo De Scalzi, due musicisti genovesi autori di numerosissime musiche per film, fiction e teatro. In questo caso, non troviamo brani memorabili o di ampio respiro (a parte la canzone presente sui titoli di coda), ma un tappeto sonoro di note – talvolta armoniche, talvolta dissonanti e psichedeliche – che supportano l’atmosfera di inquietudine opprimente e che aumentano d’intensità nei momenti di maggiore tensione.

 

Davide Comotti

Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica. Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente. Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film. Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo. Esordisce nella scrittura su “La Rivista Eterea” (larivistaeterea.wordpress.com). Attualmente, scrive sulla rivista cartacea “Bergamo Up” e sulle riviste online lascatoladelleidee.itciaocinema.itmondospettacolo.comhorror.it, malastranavhs.wordpress.com e nonsologore.it . Ha redatto inoltre alcuni articoli per il sito della rivista “Nocturno Cinema” (nocturno.it).

Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).

Contatto: davidecomotti85@gmail.com

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