L’Irap e i lavoratori autonomi

Si avvicina il termine per il versamento del secondo acconto delle imposte e come ormai da anni un dubbio assale i lavoratori autonomi e i loro consulenti: devo pagare anche l’Irap?

La storia dell’Irap

L’Irap (imposta regionale sulle attività produttive) fu introdotta nel 1997 dal governo Prodi e ideata dall’allora ministro delle finanze Vincenzo Visco. Con la Finanziaria 2008 assume la natura di imposta propria della regione e, nella sua applicazione più comune, colpisce il valore della produzione netto, ossia il reddito prodotto al lordo dei costi per il personale e degli oneri finanziari. Per la particolare tipologia di calcolo colpisce particolarmente le imprese con alta intensità di manodopera e anche le imprese in perdita; per questo motivo fu ribattezzata anche tassa sul lavoro e, da Umberto Bossi, Imposta Rapina.
Anche per tali motivi è una delle imposte che più ha avuto vita travagliata, subendo continue rettifiche per cambiamenti nella determinazione della base imponibile, nelle detrazioni e negli incentivi, con aumenti e diminuzioni di aliquote.
L’articolo 2 del decreto istitutivo indica il presupposto dell’imposta: l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.
Ed è proprio sul concetto di attività autonomamente organizzata che la Corte di Cassazione è intervenuta nel 2004 pronunciandosi a favore dell’esclusione dall’imposta a carico di un ingegnere privo di dipendenti e di capitali presi a mutuo.
La suddetta sentenza ha aperto uno squarcio nel granitico orientamento dell’agenzia delle entrate, secondo la quale il requisito dell’organizzazione caratterizzava tutte le attività, comprese quelle degli esercenti arti e professioni.
I professionisti hanno iniziato a inondare le commissioni tributarie di ricorsi per il rimborso dell’Irap pagata malgrado non ci fossero i presupposti, e, stante la costante opposizione dell’agenzia delle entrate alle sentenze favorevoli ai contribuenti emesse dai giudici tributari, la Cassazione si è dovuta pronunciare innumerevoli volte, confermando il proprio orientamento.
Nelle varie sentenze, dato che la sussistenza dell’autonoma organizzazione deve essere accertata dal giudice di merito e ricorre alla presenza di alcune condizioni, la Cassazione ha enunciato alcuni rilevanti principi per individuare la debenza o meno del tributo.

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L’autonoma organizzazione

Secondo la Cassazione affinché esista un’attività autonomamente organizzata occorre che il contribuente nel contempo:

  • sia sotto qualsiasi forma responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse;
  • si avvalga, in modo non occasionale, di lavoro altrui oppure impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione.

Alla luce di detti principi, la Cassazione ha affermato che l’Irap non è dovuta dal professionista che collabora in uno studio professionale da lui non gestito e dal professionista che è privo di dipendenti o collaboratori stabili e utilizza beni strumentali limitati (ad esempio telefono, automezzo, pc).
Per quanto riguarda l’utilizzo del lavoro altrui la Cassazione in un primo momento ha ritenuto dovuta l’Irap da parte di un professionista che avesse alle proprie dipendenze una segretaria o che affidasse a terzi in modo non occasionale incombenze tipiche dell’attività professionale.
Con le pronunce nn. 22020 e 22022 dell’anno in corso, la Cassazione ha invece affermato che il professionista che si avvale di un dipendente o collaboratore con funzioni meramente esecutive (segretaria) non è automaticamente assoggettato all’Irap.
Secondo la Corte il giudice tributario deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore e aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, in quanto la disponibilità di un dipendente non è detto che accresca la capacità produttiva del professionista ma potrebbe costituire semplicemente una comodità per lui e per i suoi clienti.
L’assunzione del principio dipendente uguale Irap comporta, secondo la Corte, una sorta di sanzione che scoraggerebbe l’assunzione dei lavoratori.
Per quanto riguarda invece la struttura, secondo l’agenzia delle entrate è sufficiente che il professionista disponga di uno studio attrezzato. La Cassazione, al riguardo, ha considerato non sufficiente ai fini dell’assoggettamento all’Irap la disponibilità di uno studio in locazione di circa 100 mq o l’utilizzo di un immobile strumentale d’ingente valore, mentre sul valore dei beni strumentali impiegati, dopo aver affermato nel 2010 che il loro valore non può ritenersi di per sé significativo, nel 2012 ha condannato il contribuente che si era avvalso di attrezzature tecnologiche di rilevante valore (pari a 124.787 euro) particolarmente sofisticate e costose.
Sul punto alcune recenti pronunce dei giudici tributari regionali hanno decretato la non assoggettabilità all’Irap di medici specialisti che utilizzano macchinari e strumentazioni costosi, ma senza i quali l’attività non potrebbe essere efficacemente svolta e che quindi rappresentano la dotazione minima indispensabile richiesta dai principi enunciati dalla Corte.
Per quanto riguarda i medici convenzionati con il SSN, anche l’agenzia delle entrate ha riconosciuto che lo studio e le attrezzature previste in convenzione possono essere considerati il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività e, quindi, l’Irap non è dovuta.
Gli studi associati, invece, secondo la maggioranza (non tutte) delle pronunce della Cassazione devono pagare l’Irap, poiché l’esercizio in comune dell’attività professionale dà luogo a un insieme di mezzi e strutture che permettono di aumentare il reddito dei professionisti, anche per via della potenziale reciproca collaborazione o sostituibilità.
La Cassazione si è dovuta pronunciare anche sui ricorsi presentati da altri soggetti, non professionisti, per il rimborso dell’Irap corrisposta.
Con quattro sentenze a sezioni unite, nel 2009 la Corte ha decretato anche per agenti di commercio e promotori finanziari l’assoggettamento all’Irap solamente in presenza del requisito dell’autonoma organizzazione.
A differenza dei lavoratori autonomi, per i quali l’autonoma organizzazione va valutata caso per caso, per le imprese (e per il codice civile lo sono anche gli agenti e i promotori) l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa d’impresa e, di conseguenza, renderebbe obbligatoria l’Irap.
Ad avviso della Corte, tuttavia, esiste tra il territorio dell’impresa e il territorio del lavoro autonomo una sorta di zona grigia rappresentata dalle attività ausiliarie previste all’art. 2195 del codice civile, le quali possono essere svolte dal contribuente senza organizzazione di capitale o lavoro altrui.
Successivamente la Corte ha decretato che tali principi sono estensibili ai soggetti che esercitano altri tipi d’impresa, aprendo la possibilità di non pagare l’Irap da parte di coltivatori diretti del fondo, artigiani, piccoli commercianti e di coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio o dei componenti della famiglia; nel caso concreto (sentenza 15249 del 2010) la Cassazione ha considerato non soggetto all’Irap un elettricista che svolgeva l’attività con limitati beni strumentali e senza avvalersi di dipendenti o collaboratori.

Gli sviluppi

Il legislatore, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale ormai abbastanza consolidato, è intervenuto per decretare l’esenzione dal tributo dei cosiddetti contribuenti minimi, ossia dei soggetti che, tra gli altri requisiti, per l’anno d’inizio dell’attività e per i cinque successivi non conseguono ricavi o compensi sopra i 30.000 euro annui e nel triennio solare precedente non hanno effettuato acquisti di beni strumentali, neppure mediante contratto di locazione anche finanziaria, per un importo complessivo superiore a 15.000 euro.
L’agenzia delle entrate ha consigliato ai propri uffici periferici di non coltivare il contenzioso nei confronti dei professionisti che, pur non avendo optato per tale regime, abbiano le caratteristiche sopra elencate per essere considerati “minimi”, introducendo, di fatto, quei limiti quantitativi che la Corte di Cassazione ha enunciato per la sussistenza dell’autonoma organizzazione.
La legge di stabilità 2013 (228/2012) nell’ambito della legge delega di riforma fiscale che dovrebbe abolire l’Irap per i piccoli contribuenti, aveva istituito un fondo di 628 milioni per il triennio 2014/2016.
Ne dovevano usufruito le persone fisiche esercenti arti e professioni o le attività d’impresa che congiuntamente non si avvalevano di lavoratori dipendenti o assimilati e che impiegavano, anche mediante locazione, beni strumentali di ammontare non eccedente una determinata soglia, da definirsi mediante decreto del Ministero dell’Economia.
Avete già indovinato com’è andata?
Del decreto nessuna traccia. Ma questo è il meno. Il Fondo di 628 milioni è stato svuotato mano a mano. Dei 188 milioni previsti per il 2014, 15 sono stati dirottati per coprire la proroga delle detrazioni per le ristrutturazioni edilizie e l’acquisto dei mobili, 15,9 per coprire le misure previste dal “decreto del fare”, 150 per coprire le misure previste dal decreto Iva-lavoro.
Quindi in cassa ci sono solo 7,1 milioni di euro, che il Ddl stabilità in questi giorni all’esame del Parlamento intende azzerare.

In attesa della riforma fiscale, pertanto, il contribuente si trova ancora in una situazione d’incertezza, dovendosi affidare al proprio buon senso e a quanto affermato dalla Corte di Cassazione per decidere se pagare o meno l’Irap.

Luca Leidi
Dottore commercialista

Telefono Studio: +39 (0)35 221161

luca.leidi@tomasiassociati.it

 

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