La rivisitazione di Prezzolini della celebre favola della cicala e della formica di Esòpo, apparve sulla rivista romana ‘per fanciulli e giovinette’, “Primavera”, nell’aprile 1912. Cento anni, probabilmente mai ristampata, conservata presso l’Archivio Prezzolini della Biblioteca Cantonale di Lugano, è una testimonianza di sorprendente modernità ma anche dell’attualità del pensiero del giornalista e scrittore fiorentino, fondatore de “La Voce” con Giovanni Papini, e considerato uno dei padri del giornalismo italiano.
Ragazzi miei, oggi i bimbi nascono con gli occhi aperti e una volta nascevano con gli occhi chiusi; una volta erano i babbi che insegnavano ai figlioli e ora, come voi d’altronde sapete benissimo, sono i figlioli che insegnano ai babbi. Chi sa mai dove si andrà a finire con questo progresso! E quel che è peggio si è che le bestie si metton nella partita. La nonna mi assicura che i gatti sono diventati più cattivi e che i cani erano, ai tempi suoi, meno irrequieti. E’ vero che la buona donna trova che le scale di casa sono diventate più ripide, sebbene nessuno le abbia toccate, da sessant’anni a questa parte, ma ciò non toglie che la vecchietta non dica qualcosa di vero. Il mondo degli animali è tutto in rivoluzione, e non ci si capisce più nulla. Tutto quello che veniva raccontato del loro regno oggi è rovesciato. Le storie che ci hanno raccontato da bimbi non sono più vere. Anche la cicala e la formica hanno cambiato le parti e non vivono più come nel passato.
Voi l’avete letta tutti, la bella favola piena di sana morale, della cicala e della formica. La cicala è una ragazzina perditempo, canterina, chiacchierina, sgolata, sempre con la chitarra in mano e pronta a tirar dal ventre le sue belle note, nell’estate focosa: non c’è che la notte per farla tacere e neppure allora, ché le si avviene di sognare il calduccio del mezzogiorno, lancia anche di notte un paio di trilli, e poi si riaddormenta pel freddo e per la guazza. La formica invece è una massaina tutta succinta, svelta, sempre attiva, pronta a riporre un chicco dopo l’altro, a pulir la casa, a insaccar la roba, a batter panni, a stendere biancheria, chiudere tutto sotto chiave; la sera la coglie nell’atto di lavorare e il primo raggio di sole la trova intenta a prepararsi il compito quotidiano. Nell’inverno, quando soffia il vento e la fame parla negli stomachi con una voce più pungente del solito, e non si trova foglia sugli alberi, né riparo nelle cortecce, né chicco di grano o vermiciattolo per le prede, la cicala è senza casa e senza pane, e va a bussare all’uscio, ben sbarrato della formica: allora la formica prende la rivincita , e annusando fuori dal finestrino, risponde alla mendicante: bella mia, hai cantato tutta l’estate, ora balla!
La risposta è ben dura, ma meritata; e scocca la morale nei cuori come una freccia. Voi l’avete letta, se siete di una certa età, almeno un paio di volte. Tutte le lingue che imparerete, ve la porteranno come uno degli esercizi di traduzione: l’ha raccontata Esopo in greco e La Fontaine in francese, la sentirete in latino, in tedesco, in russo…e in italiano.
Ma io vi dico una cosa: che quella cicala e quella formica, erano la cicala e la formica di un tempo, del tempo in cui nascevano i bimbi cogli occhi chiusi e i babbi insegnavano ai figlioli. Oggi le cose sono alquanto mutate. Sentite un po’.
Quando sia stato precisamente non si sa. L’asino doveva avere già le orecchie a cartoccio, l’elefante s’era fatto tirare il naso per benino, e la giraffa aveva messo la moda aristocratica dei colli. La faccenda che interessa noi è alquanto più recente.
Chi l’ha scoperta è stato il mago Fabre. Il mago Fabre è un bel vecchio che vive in una terra solatia, calda e piena di verde, con uno dei più bei cieli del mondo, assai somigliante a quello d’Italia. E’ un mago che lavora per i bimbi e che ha fatto molto bene ai bimbi di tutti i paesi. La mattina, il giorno, la notte, egli la dedica ai bimbi, studia per loro le belle cose della natura, le storie degli animali moderni. Egli si arrampica sui muri per scoprire i nidi di vespa e di calabrone; vola dietro alle farfalle per conoscerne le passeggiate e le conversazioni; dirige gli eserciti delle formiche quando fanno battaglia e quando costruiscono le case e le fortezze, penetra sottoterra con un suo occhio lucente e sorprende gli scarafaggi nelle loro umide cave intenti al banchetto; vigila sulle nozze degli scorpioni che sono dei tenerissimi innamorati ed ha in casa sua raccolte innumerevoli quantità di insetti, che accomoda in casine di vetro, e studia le loro abitudini, le guerre , le imprese, le fughe, i duelli, le scorpacciate. Sono grilli, bruchi, crisalidi, farfalle, formicole, vespe, calabroni, scorpioni, cavallette, bestie con corna, con antenne, con mandibole, con quattro e con otto e magari quarantotto zampe, munite di seghe, di scalpelli, di tenaglie, di pompe aspiranti, bestie alate e striscianti e rampicanti, di quelle che a toccarle fanno il morto, o si raggomitolano, o schizzano via come se avessero una molla in corpo, bestie nere, violette, gialle, rubino, variegate, striate; tutte piccole, tutti insetti.
Il mago Fabre ha dunque scoperto che la cicala moderna fa tutto il rovescio di quella antica, e che la formica di oggi fa tutto l’opposto di quella di ieri. La cicala non chiede nulla alla formica, anzi, è la formica che chiede, che spesso vive a spese della cicala. La cicala lavora, e la formica sfrutta. La cicala fatica e la formica gode. Racconta il Fabre:
“ In giugno, nelle ore soffocanti del dopo pranzo, quando il popolino degli insetti estenuati dalla sete, erra cercando invano un ristoro nei fiori appassiti e flaccidi, la cicala si ride della carestia generale. E col suo rostro, formato a succhiello, fora la scorza liscia e soda di un albero, gonfio del succo che il sole fa salire col suo calore dal terreno e col poppatoio immerso nel foro di questa botte di nuovo genere, essa si abbevera golosamente immobile tutta raccolta, tutta abbandonata alle delizie dello sciroppo e della canzone.
Un po’ di liquido trabocca, gocciola, si spande. Numerosi assetati che vagano e che ronzano d’intorno, accorrono, e prima timidi si limitano a leccare la puntura dalla quale sgorga il mielato liquido. Sono vespe, cetonie, mosche e soprattutto formiche.
I più piccoli, per avvicinarsi alla sorgente, sgusciano sotto il ventre della cicala, che, bonariamente s’alza sulle zampe e lascia porta aperta agli importuni. I più grossi, che pesticciano dall’impazienza, danno presto una sorsata, si ritirano, vanno a fare un giro sui rami vicini, poi tornano più intraprendenti. I desideri si inaspriscono, timidi di poco prima diventano aggressori turbolenti, disposti a cacciar via dalla sorgente lo scavapozzi che l’ha fatta scaturire.
I più ostinati in questi colpi da bandito sono le formiche. Alcune mordicchiano la cicala alla zampa, altre la tirano per le ali, le montano addosso, le fanno il solletico. Una più audace, sotto i miei occhi, si sforzava di chiapparle il succhiatoio e di tirarlo fuori.
Alla fine, seccata da questi nani e spazientita, il gigante finisce per abbandonare il pozzo e fugge lanciando ai suoi aggressori un getto di orina. Ma che cosa importa alla formica questo senso di sovrano disprezzo! Il suo fine è raggiunto, eccola padrona della sorgente, che troppo presto si dissecca, una volta che la pompa non funziona più.
Tanto di guadagnato per sbafare un’altra sorsata, appena l’occasione si presenterà.
Come si vede, il mendicante senza delicatezza, che non s’arresta nemmeno di fronte alla rapina, è la formica; mentre l’artigiano industrioso, che fa mezzo volentieri con chi soffre, è la cicala. E se aspettate cinque o sei settimane, un altro particolare aggraverà la cosa. La cantante, finita dalla vita, cade dall’albero. Il sole ne secca il cadavere, i passanti lo schiacciano. La formica, sempre brigante in cerca di bottino, la incontra. Essa fa a pezzi il buon boccone, la anatomizza, la sforbicia, la riduce in briciole che vanno ad ingrossare il suo ammasso di provviste. Non è raro che una cicala, ancora agonizzante con l’ala sempre fremente nella polvere, sia tirata, squartata, da una squadra di formicole scuoiatrici. Eccola, vedetela come ne è fin nera! E dopo questo saggio di cannibalismo, giudicate un po’ quali sono le vere relazioni tra i due insetti”.
Miei cari ragazzi, voglio dirvi, dopo queste belle parole del Fabre, anche qualche brutta parola mia. La cicala v’hanno detto, è l’immagine del poeta, del pensatore, che non fa nulla tutto il giorno, non lavora con le braccia, non sta al banco di nessuna bottega, non produce nulla che si possa mangiare. Di tratto in tratto, se gli salta l’estro, prende un pezzo di carta e scarabocchia qualche cosa, buona per passare il tempo. Ma questa non è che l’apparenza. In realtà il poeta e il pensatore fanno vivere tutti quelli che lavorano, con le braccia o no; perché mentre sembrano oziare, le loro menti fatate si affaticano intorno alle ragioni e alle armonie di questa nostra vita, e scoprendole danno a tutti la ragione, di faticare, di soffrire e di vivere.
Quanta gioia c’è ora nel canto della cicala, dacché la vedete non più oziosa, ma anzi, spensieratamente lavoratrice e donatrice! Quanta gioia nel poeta di comunicare con il cielo e con gli uomini e d’aprir loro un orizzonte più vasto!
Cari ragazzi, questa è la storia della cicala e della formica moderne. Ma non è poi detto che non sia stata la storia della cicala e della formica di tutti i tempi, storia che i nostri vecchi non sapevano vedere e osservare, come il mago Fabre ha veduto, osservato e cantato per voi.
( testo tratto dalla rivista “Primavera”, Roma, Podrecca e Galantara Editori, anno 2°, numero 4, aprile 1912, pp. 267-269)
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